l'intervista

Anna Bischi: «Mio marito Ivan un “Pigro” di talento»

Vent’anni fa moriva il musicista abruzzese. Teramo lo ricorderà il 27 gennaio al Teatro Comunale con una serata-omaggio a ingresso gratuito

TERAMO. «Signore, è stata una svista, abbi un occhio di riguardo per il tuo chitarrista». Il 1° gennaio saranno vent'anni senza Ivan Graziani. Al nascere del 1997 moriva a Novafeltria, appena 51enne, il cantautore teramano, talento musicale e poetico, prodigioso chitarrista per il quale il destino non ebbe riguardo. Teramo, dove Ivan nacque il 6 ottobre 1945, lo ricorderà il 27 gennaio con la serata “Pigro - Omaggio a Ivan Graziani” (teatro Comunale, ore 21, ingresso gratuito).

Slittata al 2017 per il terremoto e per la cronica carenza di contributi, la 19esima edizione del “Pigro” è organizzata come sempre dall'omonima associazione culturale, presieduta da Anna Bischi Graziani, infaticabile nell'alimentare la memoria del marito «Adesso chi ascolta Ivan lo capisce e fa propria la sua musica. In tanti oggi lo apprezzano. Come Fedez, che recentemente ha detto che per lui Ivan e Fabrizio De André sono i due più grandi artisti italiani» spiega al Centro la signora Anna.

«Da sola in questi anni ho fatto tanta fatica, ho avuto tante porte chiuse in faccia. Mi riferisco alla promozione discografica. È inutile ristampare i dischi se poi manca la promozione. I primi anni dopo la morte di Ivan sono stati duri anche per la difficoltà di far ascoltare la sua musica. Poi, pian piano, col Pigro Tour dei nostri figli Filippo e Tommaso, e grazie a Pepi Morgia, la musica di Ivan ha ripreso a circolare. Pepi è stato anche direttore artistico delle prime edizioni del Pigro. La sua morte nel 2011 è stata una grave perdita».

Oggi quali pezzi di Ivan sono più ascoltati?

«”Il chitarrista”, “Pigro”, “Lugano addio”, i più noti. Però ora stanno scoprendo anche “Palla di gomma”, “Signora dei ciliegi”, un pezzo dove c'è proprio Teramo precisa».

E lei quali pezzi ama di più?

«Mi piace tantissimo “Il mio cerchio azzurro”, pezzo che nessuno conosce, che rappresenta un po’ un altro mondo, più di nicchia. E poi “La pazza sul fiume”, ispirato a un personaggio reale, una pazza ricoverata nel manicomio di Teramo. Ivan era intrigato dalla follia, si sentiva vicino alle persone sofferenti, ha suonato nei manicomi, negli ospedali, in carcere, in tempi non sospetti, quando nessuno lo faceva».

Era curioso?

«Molto curioso. Leggeva moltissimo. Era curioso degli altri. Mi portava a casa camionisti, pizzaioli, trasportatori di mucche, che mangiavano come assassini e io stavo sempre a cucinare come una matta. “Ma amore perché non mi porti a casa uno in giacca e cravatta, che mangia poco” gli dicevo, e lui: “Ma uno yuppie che cosa ti può raccontare di interessante?”»

Come passavate le feste natalizie?

«Tornavamo a Teramo, dai suoi genitori. Inoltre lui rivedeva tutti gli amici con cui aveva suonato, come Rodolfo Tullj, col quale aveva messo su una scuola di musica a Teramo».

Sentiva forte il legame con Teramo?

«Alla sua città era molto legato. La vita vissuta a Teramo l'ha riproposta nelle canzoni. La teramanità, il gusto del dialetto gli erano rimasti addosso. Riconosceva a fiuto un teramano. Come una sera freddissima a Milano, quando, uscendo a mezzanotte dal Mulino, lo studio di registrazione di Mogol e Battisti, in mezzo alla nebbia Ivan mi indicò un tipo mai visto prima e mi disse: “Cussù è di Terame”, e poi rivolto allo sconosciuto: “Tatì, che vì facenne?”. La teramanità che lui si è portato appresso l'ha trasmessa anche a me, pure in cucina. Ogni Natale preparavo, e preparo, il brodo col cardone, il timballo, il baccalà con uvetta e pinoli, i ceci fritti».

I figli in cosa gli somigliano?

«Oltre che per la voce e la passione per la chitarra, Filippo è uguale al padre per il lavoro, potrei dirti in anticipo ogni sua mossa. Tommaso ha ereditato la tenacia e il senso di responsabilità verso la musica, oltre alla passione per la batteria. Ivan iniziò proprio come batterista».

Cosa più le manca di lui?

«Tutto. Mi manca tutto. Sono su un trapezio senza rete. Ivan era la mia rete di protezione. Era affetto, calore, amore. È dura. Certe volte gli dico: “Bellezza, te hai fatto presto ad andar via, ma qui c'è ancora da far qualcosa”».

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