Avezzano distrutta: le macerie nel film sulla Grande guerra

di Fulvio D’Amore Quando l’Italia entrò in guerra (24 maggio 1915), il cinematografo aveva appena compiuto vent’anni, nato a Parigi nel 1895, con le prime proiezioni dei fratelli Lumière. L’interven...

di Fulvio D’Amore

Quando l’Italia entrò in guerra (24 maggio 1915), il cinematografo aveva appena compiuto vent’anni, nato a Parigi nel 1895, con le prime proiezioni dei fratelli Lumière.

L’intervento nel conflitto mondiale determinò all’inizio una situazione di difficoltà nell’industria cinematografica, dovuta, soprattutto, alle misure di austerità e al richiamo di molti operatori e tecnici del settore, arruolati nei reparti dell’esercito italiano.

Tuttavia, il governo interventista si rese conto che questo tipo di spettacolo, garantiva un notevole richiamo di pubblico e poteva essere occasione di iniziative propagandistiche.

Leggendo i giornali d’epoca, specialmente nelle rubriche delle programmazioni cinematografiche, si nota nel corso del 1915 che alla produzione di generi comici o drammatici, si affiancava quella delle serate nazionali in favore delle popolazioni terremotate abruzzesi per la raccolta dei fondi. Accanto a questa diffusione di largo consumo, si affiancherà ben presto quella patriottica.

Il primo film significativo di chiara intonazione pubblicitaria e di amor nazionale giunse sugli schermi nel settembre del 1915 e si intitolava: “Sempre nel cor la Patria!”, diretto dal famoso regista Carmine Gallone.

Il cineasta, dopo aver partecipato nel 1911 a un concorso drammatico bandito a Roma dal Comitato per l'Esposizione universale, in occasione del cinquantenario dell'Unità italiana, fu scritturato come generico nella compagnia stabile del Teatro Argentina (dove peraltro lavorò con la moglie, l'attrice polacca Soava Winaver) sino alla fine del 1912, svolgendo parallelamente l'attività di critico cinematografico. Nel 1913 entrò alla «Cines», prima come sceneggiatore e poi come regista. Esordì nel 1914 con “La donna nuda”, riadattato dal dramma di Henry Bataille e interpretato da Lydia Borelli. Di lì a poco, inaugurò una serie di film in cui si trovò a dirigere le dive del muto in storie melodrammatiche, allora molto di moda. La sua produzione, di chiara matrice letteraria, proseguì con “La Marcia Nuziale” (1915) e “La Falena” (1916), entrambi su testi del drammaturgo Bataille; poi “La storia dei tredici” (1917), libera riduzione da Honoré de Balzac e “Malombra” (1917), tratto da Antonio Fogazzaro.

A detta della critica, Il regista, in quest'ultimo film, dimostrò tutta la sua genialità, caratterizzata da «uno splendore fotografico» definito «senza precedenti».

Nel lungometraggio girato ad Avezzano, si raccontava la storia di una donna italiana (attrice Leda Gys) che aveva sposato un austriaco, decisa, però, in pieno conflitto mondiale a tornare in patria «quando la diana squilla», così era scritto nella didascalia (non bisogna dimenticare che allora il cinema era muto e i commenti, spesso enfatici, venivano sovraimposti alla pellicola).

Dopo varie peripezie, la donna morirà eroicamente sventando una missione anti-italiana affidata proprio al marito. Il film, come abbiamo detto, fu ambientato ad Avezzano subito dopo il terremoto del 1915, poiché le case diroccate erano servite al regista per simulare perfettamente le distruzioni dei bombardamenti nelle zone di guerra.

L’opera cinematografica fu accolta con ovazioni e scene di entusiasmo in tutta Italia, ma anche in qualche paese alleato come la Francia, dove fu proiettato con un titolo diverso.

Il successo ottenuto da “Sempre nel cor la Patria!” e il suo impatto emotivo sull’opinione pubblica, incoraggiarono altre produzioni: tra il 1915 e il 1916, uscirono nelle sale cinematografiche almeno una settantina di film dello stesso tenore .

Indubbiamente, nonostante le semplificazioni didascaliche, le esagerazioni e i trionfalismi retorici, l’importanza di questi film non va sottovalutata.

Gli spettacoli e le locandine che li pubblicizzavano impressero nella mente degli italiani parole (per chi sapeva leggere), immagini e associazioni di idee con forza: la patria, la vittoria, il barbaro nemico, la redenzione, il campo dell’onore, furono segnali evidenti di propaganda e di patriottismo a buon mercato, quando già sul finire del 1916 era ormai chiaro a tutte le famiglie della Marsica che la guerra costava perdite e sacrifici gravissimi destinati a prolungarsi. Specialmente i combattenti e le loro famiglie sapevano fin troppo bene che la guerra, quella vera, era una cosa diversa da «quella eroica e facile delle pellicole».

Carmine Gallone, dopo aver girato altri film durante il periodo fascista in Francia, Germania, Inghilterra, Austria e Stati Uniti, fu condannato in Italia con una sospensione di sei mesi dalla Commissione per l'Epurazione delle categorie del cinema.

Alla fine della seconda guerra mondiale subentrò a Julien Duvivier nella regia della serie di “Don Camillo”, firmando “Don Camillo e l'onorevole Peppone” (1955) e “Don Camillo monsignore… ma non troppo” (1961). Il suo ultimo film fu “La monaca di Monza” del 1962.

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