Gino Di Paolo: «Con i miei scatti racconto la bellezza dell’Abruzzo» 

Il fotografo di Montefino memoria visiva delle ricchezze paesaggistiche e artistiche della regione «Cerco sempre di inquadrare il Gran Sasso e la Maiella anche se mi trovo al porto turistico di Pescara»

«Nelle fotografie di paesaggi abruzzesi cerco sempre di inquadrare il Gran Sasso e la Maiella, anche se mi trovo sulla passerella del porto turistico di Pescara. E' il mio marchio personale». Gino Di Paolo incarna oltre mezzo secolo di fotografia e ricerca «in totale libertà da ogni committenza». Un archivio sterminato di centomila scatti l'anno, cataloghi e libri fotografici che ormai non si contano più. Nel suo studio Spazio Di Paolo - a Spoltore, nella factory creativa che condivide con il figlio Mario, guru del food & beverage marketing- Gino conserva con ordine scientifico milioni di immagini. Storia, arte, architettura. Classico, moderno, contemporaneo. Abruzzo, Italia, mondo. Un racconto fotografico infinito e in continuo aggiornamento. E un esempio prezioso di professionalità trasmesso ai tanti allievi, oggi fotografi affermati, che dei suoi insegnamenti hanno fatto tesoro. Studio, ricerca e racconto fotografico. Che nel caso dell'Abruzzo, punto di partenza (e di ritorno) di tanta alacre attività riconosciuta in prestigiosi ambiti internazionali, testimonia di come cultura e natura rappresentino un mix esclusivo, difficilmente rintracciabile altrove e tutto ancora da sfruttare.
Di Paolo, quanto è fotogenico l'Abruzzo?
Posso dirlo raccontando l'esperienza vissuta sulla costa dei trabocchi. Un'estate dovevo fotografare l'alba sul Turchino, spalle all'Eremo dannunziano. I primi giorni arrivavo sempre mezz'ora dopo del momento fatidico in cui il sole nasce e così ho anticipato l'appostamento intorno alle 4 del mattino. Nell'arco di mezz'ora ho scattato una serie di immagini con la temperatura di colore che mutava di densità cromatica dal viola all'oro, come in un quadro impressionista. In quel silenzio ho notato che il cinguettio degli uccelli si interrompeva, il tempo sembrava sospeso per quell'attimo magico in cui il sole sorge, poi tutto riprendeva il suo corso naturale. Da lì ho avuto l'idea di un libro con i luoghi descritti da didascalie di D'Annunzio e sono andato a Guardiagrele a fotografare dal punto, oggi sede di una banca, in cui il poeta guardava “la luna di maggio, la Maiella tutta ancora candida di nevi, una sola finestra illuminata, in una casa vicina, d'una luce gialla” come ha scritto nel “Trionfo della Morte”.
Dell'Abruzzo cosa più colpisce allo sguardo di un maestro della fotografia?
L'Abruzzo è paesaggio applicato all'arte e all'architettura, l'arte la trovi anche nel paesaggio. L'Abruzzo non è solo greggi e vacche al pascolo, ma eremi scolpiti nella montagna, abbazie, castelli, fortezze, archeologia. Se entri nelle chiese, anche quelle rurali, trovi sculture, dipinti, pale d'altare mai viste. Nel percorso aquilano incontri secoli di storia raffigurati negli affreschi nelle chiese, come un libro aperto. Capestrano, Bominaco, Beffi, L'Aquila, Tornimparte. Pittura e architettura. Essendo una regione di passaggio, molti autori hanno lasciato opere in Abruzzo per sdebitarsi. C'è così tanta e fantastica roba che si potrebbe allestire una mostra nuova per argomento ogni sei mesi, con la partecipazione attiva delle istituzioni. Invece tutta questa arte resta chiusa nei magazzini e per nulla valorizzata, tesori nascosti che nessuno si prende la briga di andare a cercare e portare all'attenzione.
Nella sua vasta carriera lei è diventato un riferimento irrinunciabile per la Soprintendenza ai beni artistici d'Abruzzo, organizzando campagne e corsi di fotografia.
Dopo la lunga esperienza pubblicitaria con Gabriele Pomilio, mi sono dedicato all'arte in Abruzzo e dal '74 all'arte contemporanea con Mario Pieroni. Inizialmente per curiosità la meta da raggiungere era la “Milano da bere”. Un sogno svanito con l'opportunità di insegnare a scuola. Ma ho cercato di coltivare entrambi gli interessi facendoli dialogare tra loro, l'arte contemporanea e la scuola di fotografia nelle università di Roma e Napoli. Il risultato è che oggi molti docenti e dottorandi vengono a studiare le opere attraverso le mie foto a colori di scultura e pittura. Solo con il colore riconosci la qualità di un restauro, la mano del maestro e quella del suo aiutante di bottega. Una possibilità che gli archivi in bianco e nero non offrono non essendo tecnologicamente così avanzati. E così che ho organizzato corsi anche per la soprintendenza nel lontano '74.
La frequentazione degli artisti è una costante nella sua attività. E' mai accaduto che fosse lei a influenzarne la produzione?
Stare insieme con gli artisti, quelli giusti, aiuta molto. Stanno avanti di trenta, quarant'anni. Parlarci, entrare nel loro linguaggio, aiuta a restituire le immagini. Normalmente il fotografo legge qualcosa da tutto questo e cerca di tirarne fuori cose che neanche l'artista pensava di esprimere. Faccio un esempio. Ho una scultura di Jimmie Durham in casa, un totem in legno. Più lo guardo e più capisco come devo fotografarlo. In questo modo si è stabilita un'interazione con l'artista, un confronto imprevisto che ha superato l'idea iniziale. Con Mario Pieroni abbiamo portato in Abruzzo i nomi dell'arte contemporanea, ricordo il forum Arte e architettura nel XX secolo, nel '93, a bordo piscina di un grande albergo di Silvi, con Botta, Pistoletto, Accardi, Franz West. Nell'ultimo anno ho lavorato al progetto internazionale No Man's Land curato da Zerynthia di Mario Pieroni su progetto dell'architetto franco ungherese Yona Friedman con Jean Baptiste Decavèle. E' stato prodotto un libro d'autore con tiratura numerata (Di Paolo Edizioni ndr) e testo manoscritto di Friedman che ripercorre le installazioni fatte a Loreto Aprutino (contrada Rotacesta), Venezia, e Alghero per il centesimo Giro d'Italia.
Anche in quel caso un progetto culturale che non prescinde dall'ambiente naturale, un bosco di noci nella campagna vestina. Non si è mai stancato di girare tra colline e paesi d'Abruzzo?
L'intervento pensato da Yona Friedman in Abruzzo è la riprova di quanto natura e cultura in questa regione possano profondamente compenetrarsi l'un l'altra. E' quello che rende l'Abruzzo unico e spettacolare. Girando l'Abruzzo spesso ho la fortuna di fotografare gli stessi posti, ma con luci nuove, definizione più alta. La tecnologia d'avanguardia consente una lettura più accurata. Perciò nell'arco degli anni ritorno sullo stesso soggetto e ogni volta è una lettura diversa. Che mi da un'emozione diversa.
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