Gli eccentrici personaggi di Antonio Del Giudice 

Il nuovo libro del giornalista, “I racconti del popolo”. Venerdì la presentazione a Pescara con ’Nduccio

In una pagina dei suoi Quaderni, Simone Weil annota: «Ma il trascurabile è il mondo». Il trascurabile a cui fa riferimento la filosofa francese, nel suo stile ellittico, è lo scarto della vita, il non assimilabile ad altro. E’ di questo mondo spesso non censito che parlano “I racconti del popolo”, il nuovo libro di Antonio Del Giudice da poco pubblicato da Solfanelli nella collana Tabula Fati (137 pagine, 12 euro).
Il volume di Del Giudice, giornalista, ex direttore del Centro, e autore di narrativa a partire dalla sua opera di esordio “La Pasqua bassa”, nel 2008, sarà presentato, venerdì prossimo (alle ore 18) al Mediamuseum di Pescara. Con l’autore dialogherà ’Nduccio. L’incontro sarà moderato da Marco Presutti, mentre l’attore Marco Massari leggerà brani del libro.
I personaggi che popolano “I racconti del popolo” sono della razza degli eccentrici che piaceva a Juan Rodolfo Wilcock, lo scrittore argentino, ma italiano di adozione, grande amico di Ennio Flaiano: malinconici, schiavi di privatissime ossessioni, picareschi abitanti di una provincia mentale prima ancora che geografica. Sono loro i protagonisti di brevi parabole su cui Del Giudice posa il suo sguardo mai moralistico ma mosso da una curiosità umana che spinge all’indulgenza.
«Questi “Racconti del popolo”», scrive lo scrittore siciliano Giosuè Calaciura nella sua prefazione al volume, «si muovono su un terreno accidentato, pericoloso, estremamente reattivo e livoroso, pieno di trappole. Sono istantanee, ritagli tra la cronaca e la leggenda di provincia. Più che racconti, “corti” narrativi: riflessi umani sui vetri degli autobus, sugli specchi tarlati di vecchie case, ovali di ritratti sui marmi tombali, mattinali di questura, indicibili vergogne di famiglia, tare, scheletri nell’armadio, condense di esistenze in forma di bozzetti, commedie umane, minime e disperanti, farsesche e tragiche, salvate all’oblio».
«Con ironia tagliente», aggiunge Calaciura, «a tratti agghiacciante, Del Giudice mostra – perché è l’occhio che queste brevi novelle sollecitano – una comunità irredimibile, ormai priva di Storia e di retaggio, incapace di empatia, anzi spesso sadica, solleticata dall’esposizione del dolore altrui, vampiresca e feroce, forte con i deboli e debole con i forti, ma solo sino al giorno della caduta in disgrazia. Del Giudice ha recuperato una narrazione che sembra antica, esatta, attenta alle sfumature e alle atmosfere. Il filo di un sorriso amaro attraversa ogni “istantanea”: è la tenerezza per le cose perdute, il contrappunto consapevole e pessimista all’inquietante ghigno ferino, allucinato e apocalittico, di chi ha smarrito la propria umanità».
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