«I conflitti in Europa sono di nuovo possibili» 

Paolo Mieli interviene da storico all’incontro all’Aquila su “L’Italia della Vittoria, a 100 anni dalla fine della Grande guerra”

L'AQUILA. La fine della Grande Guerra avrebbe dovuto segnare un punto di svolta negli equilibri dello scacchiere internazionale. E invece rappresentò una tappa di un percorso intricato che, alimentato da nazionalismi e ideologie, portò dritto dritto alla Seconda guerra mondiale. La pace non si può dare per scontata. Né allora né oggi.
«A noi sembrò, fondando l’Europa, che si sarebbe posta la parola fine a tutte le guerre, almeno nel nostro continente. Oggi, purtroppo, la situazione è ben diversa», valuta Paolo Mieli, storico ed ex direttore del Corriere della Sera intervenuto all'Aquila in occasione del convegno “L’Italia della Vittoria, a cento anni dalla fine della Prima guerra mondiale”.
Un’iniziativa utile a inquadrare la storia anche con la lente dell’attualità. «Sembra, ahimé», sottolinea Mieli, «di essere ritornati in un momento storico in cui le guerre non sono più impossibili, come invece sembrava qualche anno fa». Fra le varie discipline scientifiche, la storia è quella più soggetta a un principio fondamentale: se cambia l’angolo visuale, cambia anche l’interpretazione del periodo analizzato. Nel suo ultimo libro, “Lampi sulla storia. Intrecci tra passato e presente” (Rizzoli), Mieli elenca alcune di queste distorsioni e, con l’equilibrio teorico che lo contraddistingue, mostra un lavoro differenziato che gli storici portano avanti. «La storia», sostiene Mieli, «richiede un grande esercizio di sottigliezza fra ragione critica e verifica documentaria, altrimenti si rischia l’effetto di vedere la storia stessa capovolta. Bisogna contestualizzare il passato e non invaderlo alla luce del presente. Rosario Romeo, in polemica con il libro “Isonzo 1917” – nel quale Mario Silvestri aveva definito “grotteschi” gli ideali che avevano motivato la Prima Guerra Mondiale – scrisse che con lo stesso criterio “l’intera vicenda degli uomini” potrebbe “apparire assurda e grottesca”». Secondo il giornalista è doveroso assegnare a ciascuna epoca un metodo di valutazione adeguato.
A introdurre l’intervento di Paolo Mieli e dialogare con lui sulle vicende storiche, è il professor Fabrizio Marinelli, bravo a ripercorrere una breve storia del Battaglione alpini l’Aquila, l’eroico reparto che ha visto passare tra le sue fila decine di migliaia di alpini abruzzesi e di altre regioni. Mieli parla di una guerra terribile che dalla sconfitta di Caporetto, fino alla riscossa nazionale, portò l’Italia alla vittoria. Una vittoria che tuttavia costò al Paese circa 680.000 morti e innumerevoli feriti e prigionieri. «Il Papa dell'epoca definì la Grande Guerra come un'inutile strage», sottolinea Mieli ricordando che l’Italia vi entrò pensando di uscire dal conflitto nel giro di poco tempo e di accomodarsi al tavolo dei vincitori.
Il 4 novembre celebra la fine della guerra e commemora la firma dell’armistizio siglato a Villa Giusti (Padova 3 novembre) con l’Impero austro-ungarico, per far cessare il fuoco su tutto il fronte italiano. Il suo racconto è stato affiancato da un documentario di repertorio realizzato da Greta Salve, sua collaboratrice, con immagini originali dell’epoca e film datati che ne hanno narrato le vicende. A margine del convegno l’Associazione nazionale alpini è stata presente con le divise originali della prima guerra mondiale e all’interno del Palazzo dell’Emiciclo, nel Giardino d’inverno, è stata allestita una mostra fotografica, curata da Walter Capezzali, che ripercorre la vita e le gesta di un aquilano: Dante Troiani medaglia d’argento al valore militare per l’eroismo dimostrato durante il conflitto, un uomo generoso molto attivo anche negli anni successivi alla fine della guerra nell’assistenza dei reduci e degli invalidi di guerra.
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