Il macellaio, l’esordio dell’autore di Le braci 

Esce per Adelphi il primo aspro, breve e forte romanzo di Sandor Marai ambientato nell’orrore della Grande Guerra

Si è parlato, e non solo fino allo scorso anno, mentre se ne celebrava il centenario, di bagno di sangue e di soldati mandati al macello a proposito della Prima Guerra Mondiale e sin dal titolo “Il macellaio”, questo aspro, breve e forte romanzo uscito nel 1924, opera d'esordio di Sandor Marai (l'autore del celebre “Le braci”) poco più che ventenne, non può non ricordare tutto ciò, proprio perché di quella guerra ci parla e delle sue conseguenze con una metafora grottesca e realistica assieme.
Protagonista del libro uscito per Adelphi, traduzione di Laura Sgarioto, è Otto, un giovane che ha quella che potremmo chiamare una vocazione, un’inclinazione precisa che lo porta al desiderio e al piacere di uccidere animali, tanto che convincerà il padre, maniscalco di paese, a portarlo nella capitale dove intende intraprendere la carriera di macellaio, e l’arrivo al macello è tutto un programma, tra carcasse sanguinanti appese al soffitto, ovini sgozzati su cavalletti di legno, un balenare di scuri con animali che crollano al suolo con le zampe dritte puntate verso l'alto, con garzoni che si muovono col volto imbrattato di sangue sino all'attaccatura dei capelli, tra il tanfo del sangue, della carne fumigante, delle interiora.
In questo luogo Otto saprà distinguersi e riuscirà, con pochi soldi ereditati, ad aprire un negozio tutto suo, ma alla vigilia di essere chiamato in guerra. Durante i primi mesi il giovane non coglie alcun cambiamento tra le sue due vite, civile e militare, «la guerra se la sentiva dentro, specialmente perché gli impulsi cui obbediva erano rimasti gli stessi... si trattava soltanto di una dislocazione nello spazio». A lui, cresciuto in casa sotto il ritratto dell'Imperatore, «tutti quei poteri che sin dal primo istante della sua vita aveva conosciuto e riconosciuto come assoluti e ineludibili... avevano ora gettato la loro maschera, si erano fatti più vicini e erano diventati più comprensibili, più tangibili nei loro ordini e nelle loro pretese».
È per questo che gli sembrava una condizione naturale stare tutti assieme nel fango di una trincea, scavare e sparare nella nebbia che avvolgeva il paesaggio: «non aveva una consapevolezza della vita, perciò non ne aveva neppure della morte; non sapeva di essere vivo, e così non sarebbe mai stato capace di pensare di poter morire». Il giorno che avvisano che si andrà all’attacco, sapendo che si dovrà anche usare la baionetta uno contro gli altri, Otto ha come un’illuminazione, rendendosi conto che questa è del genere dei coltelli che si usano per squarciare il ventre delle bestie: «Io sono un macellaio», pensò emozionato, «anche questo accanto a me è un macellaio, siamo tutti macellai» pronti a aprire pance per la patria e l’imperatore. Quindi, nonostante un attimo di incertezza e di paura (del suo ventre per conto suo) farà il suo dovere distinguendosi tanto da ottenere promozione e decorazione, che un anno dopo gli verrà appuntata sul petto dall’imperatore in persona, con le parole «hai fatto bene il tuo dovere, figliolo». Comunque alla fine, al ritorno a casa, non sarà più lo stesso, privo di passione non solo per il mestiere, ma per il denaro e tutto il resto, «con una gran voglia di spaccare e distruggere tutto, senza sapere con chi prendersela» e finendo per passare giornate e notti in taverna offrendo da bere a tutti, finendo in pochi mesi i propri soldi. Il caos sociale del dopoguerra (c'è chi spara per le strade) diventa per il nostro uomo caos interiore, senza più certezze, e quel che gli accadrà lasciamo sia una sorpresa per il lettore, un lettore che conosce oggi anche quali saranno di lì a pochi anni gli orrori della Seconda Guerra Mondiale.
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