l'intervista

Joe Bastianich «Con la cucina dico I love you, Italia...»

Il giudice di Masterchef si racconta in un libro «Ho riscoperto le radici con un viaggio in Croma»

 

 

 

 

«Da bambino odiavo l’Italia». A Joe Bastianich piace stupire. Altrimenti non si spiegherebbe un incipit del genere per un libro che è una dichiarazione d’amore all’Italia e alla sua cucina. Quella cucina sulla quale Bastianich ha edificato il suo impero di ristoratore e la sua aura da icona pop (il suo «Volete che muoro?» è diventato un modo di dire diffuso quanto un tormentone da cabarettista) come uno dei tre giudici di Masterchef Italia, il reality show di Sky che ha da poco terminato la sua quarta stagione, al fianco dei cuochi italiani Carlo Cracco e Bruno Barbieri, con un seguito di telespettaori ineguagliato per un canale a pagamento. Newyorkese, 47 anni, figlio di emigranti italiani provenienti dall’Istria, Bastianich ha da poco sfornato un libro, un’autobiografia scritta insieme a Sara Porro (si legga il box qui a fianco), che si intitola “Giuseppino”, il nome con cui lo chiamava la sua nonna. Del libro (e di altro) Bastianich parla in questa intervista al . Centro.

Perché ha scritto “Giuseppino”?

L’ho scritto o meglio Sara (Porro ­ ndr) mi ha aiutato a farlo perché volevo raccontare il mio rapporto con l’Italia. Ho raggiunto un punto nella mia vita in cui mi sento consapevole di ciò che provo verso le mie origini. Non è sempre stato così, ho vissuto l’adolescenza cercando di rinnegare il passato della mia famiglia, oggi invece sono fiero di ciò che siamo e della nostra storia che è comune a quella di tanti esuli nel mondo.

Se dovesse descrivere la cucina italo-americana come la descriverebbe?

Una cucina dove i ricordi sono resi personali. I primi immigranti italiani, arrivati in massa negli Stati Uniti, avevano bisogno di ricreare i profumi e i sapori che gli ricordassero da dove erano arrivati e hanno veramente dovuto farlo usando al meglio - e alle volte non fedelmente - i pochi ingredienti che riuscivano a reperire in quegli anni.

La scoperta della vera cucina italiana in che modo ha cambiato il suo rapporto con l'Italia?

Ho conosciuto la vera cucina italiana grazie a mia madre e agli sforzi che ha fatto per portarla negli Stati Uniti agli inizi degli anni ’70 ma non è stato quello a farmi innamorare dell’Italia. Quello è successo durante una pura crisi esistenziale in cui ho viaggiato per il Bel Paese per quasi un anno, da solo, a bordo della mia scassatissima Fiat Croma. Tutti i dettagli sono al Capitolo 7!

L'esperienza di Masterchef che cosa ha rappresentato per lei?

Dopo cinque anni nell’edizione americana e quattro in quella italiana, senza contare Masterchef Junior o le apparizioni in altre edizioni direi che è stato un grande punto di svolta, non solo per la mia vita ma anche per la carriera. In queste edizioni mi sono divertito molto, e anche io, anno dopo anno, sono cresciuto, evolvendo non solo a livello televisivo ma anche nella vita reale.

Quali sono le differenze principali fra il Masterchef Usa e quello italiano?

Sicuramente i concorrenti italiani sono più preparati su ingredienti e piatti tradizionali e regionali del loro Paese, con una conoscenza di tecniche di cottura e materie prime quasi sconvolgente. Nell’edizione Usa, invece,. è la fantasia e la contaminazione a farla da padrona. Gli aspiranti vincitori hanno da sempre avuto a disposizione ingredienti provenienti da tutto il mondo e questo mix si riflette nelle loro ricette.

Si parla troppo di cucina sui giornali e in televisione oggi?

Se ne parla molto ed è una cosa che io vedo piuttosto positiva. A differenza di quando i miei genitori hanno iniziato a fare ristorazione oggi è considerato un lavoro prestigioso, non più legato al puro sostentamento. Oggi si parla di ricerca di materie prime o prodotti interessanti, la riscoperta di mestieri artigiani o di itinerari turistici legati alla gastronomia prima poco sviluppati con un conseguente impatto positivo anche sull’economia. La popolarità che il settore e soprattutto gli chef stanno avendo aiuta a comunicare cosa significa un’esperienza al ristorante: mettere il cibo in primo piano nelle nostre vite.

Qual è la sua idea di un pranzo (o di una cena) da sogno?

Sicuramente basato su materie prime di qualità e il giusto abbinamento vini, serviti a temperatura corretta. Agnolotti del plin con tartufo bianco - affettato senza parsimonia - e Monfortino Œ 85 potrebbero esserne un esempio.

A quale cibo non rinuncerebbe mai?

Potrei mangiare un buon piatto di spaghetti ­ cotti al dente ­ con pomodori San Marzano, olio extravergine di Oliva e Grana Padano serviti con un calice di Friulano, ogni giorno.

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