L’enigma The Place e la grande sfida Borg - McEnroe 

In sala torna Genovese dopo Perfetti sconosciuti e arriva il film Palma d’oro a Cannes The Square

Il posto e la piazza. “The Place” di Paolo Genovese e “The Square” di Ruben Östlund i film più attesi tra le novità, insieme a “Borg McEnroe” di Janus Metz Pedersen.
Dopo il successo internazionale di “Perfetti sconosciuti”, per il suo undicesimo lungometraggio Genovese si è permesso il lusso di dirigere un dramma in unità di luogo. Una sorta di racconto morale e corale interamente ambientato in un locale, The Place appunto, protagonisti 11 personaggi, interpretati da attori popolari e amati dal pubblico.
Al The Place siede tutto il tempo un uomo senza passato e senza nome, di cui non sappiamo nulla. L’uomo, interpretato da Valerio Mastandrea, riceve al suo tavolo un campionario di varia umanità. Ognuno gli chiede qualcosa, ognuno ha un dolore, un desiderio, un sogno, per lo più irrealizzabile. La suora Alba Rohrwacher ha perso la fede, il cieco Alessandro Borghi vorrebbe riavere la vista, Vittoria Puccini ha un matrimonio in crisi, Giulia Lazzarini ha il marito con l’Alzheimer, Vinicio Marchioni ha il figlio malato, Silvia D’Amico aspira alla bellezza perfetta. E poi Sabrina Ferilli, cameriera del locale, il meccanico Rocco Papaleo, il poliziotto Marco Giallini, lo spacciatore Silvio Muccino. L’uomo misterioso sembra poter esaudire le richieste, in cambio però di prove tremende. La sceneggiatura di Genovese e Isabella Aguilar è ispirata alla serie statunitense “The booth at the end”.
Palma d’oro al festival di Cannes e campione danese per la corsa agli Oscar, “The Square” dello svedese Östlund (già regista di quel “Forza maggiore” in cui un padre se la dava a gambe davanti a una valanga, abbandonando moglie e figli) è una commedia tragica, o una tragedia comica, come ha detto l’autore stesso. Di certo è una spietata presa in giro dell’arte contemporanea, dei suoi rituali, di un apparato comunicativo spesso cialtrone se non addirittura cinico. “The Square” è il nome dell’installazione (un quadrato tracciato con la vernice bianca sull’acciottolato) di un artista argentino sulla piazza davanti a un museo d’arte moderna a Stoccolma. Secondo lo snob Christian (Claes Bang), curatore del museo, l’installazione è un santuario dell'altruismo e della fiducia.
Senonché tutto viene compromesso da un video promozionale folle e crudele pensato dai soliti velleitari creativi della comunicazione. Da lì tutto precipita, per Christian e per il museo.
Il campione svedese Biorn Borg (interpretato da un somigliante Sverrir Gudnason) e il suo rivale statunitense John McEnroe (Shia LaBeouf), protagonisti di epiche sfide sui campi da tennis di tutto il mondo, sono al centro del film di Janus Metz Pedersen “Borg McEnroe”, che tenta la sfida impossibile di filmare lo sport meno cinematografico che esista. E tuttavia di moda sullo schermo in questo momento.
Dopo l'emozionante “La battaglia dei sessi”, sulla sfida tra l’amazzone Billie Jean King e il sessista Bobby Riggs, ecco la cotrapposizione tra la macchina IceBorg, come lo chiamava la stampa, e SuperBrat McEnroe, il discolo della racchetta. I ritratti personali di due campioni diversissimi, nel carattere e nel gioco (serve and volley l’americano, regolarità da fondo campo lo svedese), accompagnano con dei flashback lo spettatore verso la partita perfetta che i due giocarono sull’erba di Wimbledon nel 1980, vinta al quinto set dopo quattro ore da Borg (e fu la quinta vittoria consecutiva ai Championships). All’epoca l’asso svedese stava per sposarsi con la tennista romena Mariana Simionescu. Loredana Bertè era ancora lontana.
In sala anche la fantascienza demenziale di “Addio fottuti musi verdi” di Francesco Capalbo, esordio sul grande schermo dei napoletani The Jackal, stelle di YouTube con le loro esilaranti parodie. Il grafico pubblicitario Ciro è super qualificato ma incompreso. Alla fine un lavoro glielo daranno gli alieni.
©RIPRODUZIONE RISERVATA