La Costa dei trabocchi immagini e parole d’autore 

Un libro edito da Carsa dedicato a uno dei luoghi più belli d’Abruzzo con un racconto inedito dello scrittore Paolo Di Paolo intitolato “Sporgersi”

“La Costa dei trabocchi” è l’ultima produzione, in ordine di tempo, di Carsa edizioni, realizzata in collaborazione con www.paesaggidabruzzo.com che ha coinvolto la propria foto-community, protagonista della produzione di questo libro. 216 pagine, 250 fotografie, cinque capitoli e un racconto originale per descrivere uno dei luoghi più belli e suggestivi d’Abruzzo e che ospiterà una delle piste ciclabili più belle d’Europa, da Ortona a Vasto, che si sviluppa lungo l’ex tracciato ferroviario lungo 42 chilometri. Il volume è in italiano e inglese e le traduzioni sono di Angela Arnone. Il libro si costruisce su cinque capitoli e un racconto. Il racconto, una fiction originale, è di Paolo Di Paolo, scrittore e già finalista del Premio Strega con il libro, “Mandami tanta vita”, e s’intitola “Sporgersi”. Il primo capitolo, “La costa d’utopia” è di Franco Farinelli, geografo e presidente dell’Associazione italiana dei geografi. Il secondo capitolo lo ha scritto il Alessandro Sonsini, “Il trabocco macchina da pesca”, e descrive il trabocco e la sua evoluzione nel tempo. Marialuce Latini scrive due capitoli, “Il trabocco nell’arte, tra letteratura, pittura e fotografia” e “Il territorio tra architettura e natura”. Il quinto capitolo è stato scritto dal giornalista televisivo Carlo Cambi e si intitola “Il trionfo della vite”. Pubblichiamo l’incipit del racconto di Paolo Di Paolo.
di PAOLO DI PAOLO
Il viaggio – un viaggetto, per la verità – era esattamente rovesciato. I quasi cinquant’anni di differenza avevano avuto il loro effetto; e adesso c’erano – al posto di guida – un nipote adulto, e un vecchio, il nonno, al posto del passeggero. Quello che stava guidando aveva dovuto insistere, ma in una mattina di settembre tanto azzurra gli sarebbe sembrato delittuoso non farlo. L’aveva convinto a suon di «non ci mettiamo niente», «è una passeggiata», «per favore». Il vecchio si era fatto pregare, sì, ma senza opporre resistenza, non è che avesse detto cose come «no, non mi va, lascia stare»: non gli rispondeva, non diceva niente. Guardava in silenzio il nipote, e gli piaceva che lui insistesse. Lo guardava in silenzio come inerte, arreso, con una specie di sorriso che qualcuno, da fuori, avrebbe detto ebete, attribuendolo a un principio di demenza senile. E invece era l’indizio di una felicità curiosa e calma. Curiosa e calma.
Curiosa perché voleva capire che cosa c’era dietro quella smania. Calma perché non c’era niente da temere, né da perdere. Il primo paio d’ore era passato senza parole, se non quelle della radio, a cui tre o quattro volte la voce del giovane si era sovrapposta – solo per premura. Come va? Stai comodo? Rivelava così l’ansia superflua, eccessiva, di chi teme la minaccia di qualunque, anche il più vago, senso di colpa. Lo attenuò all’istante la vista del mare – il luccichio del tardo mattino, quasi finita l’estate; di ogni mattino che, sul mare, sembra il primo del mondo. La boccata d’aria che presero, appena superata Pescara, era come mangiare luce. Il tepore. L’arenile disabitato.
Strada statale 16 Adriatica. Senza dirselo – i maschi imparentati si dicono sempre pochissimo, si dicono solo l’essenziale – sentirono entrambi la stessa cosa, il privilegio di quell’istante. Il giovane, per averlo ritagliato nelle sue settimane cariche di disordine e di ansia. Il vecchio perché – e no, non voleva completare la frase. Il tratto di costa pareva che fosse stato steso come un tappeto chiaro solo per loro due, e questo era il secondo privilegio – stare dentro una bellezza non affollata. Quasi per ogni tratto del litorale – Francavilla, Ortona, Fossacesia, San Vito Chietino, Vasto – avevano ricordi. In parte minima condivisi: per le vacanze d’estate passate insieme, quando il vecchio, non ancora così vecchio, era alla guida, e il nipote un bambino che nemmeno riempiva il sedile accanto.
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