«Le donne oggi sono più libere e più in pericolo» 

Il premio Campiello Donatella Di Pietrantonio «Il femminismo mi scovò nella mia Penne»

Con la scrittura accarezza, tocca, pizzica l’animo femminile, i sentimenti antichi e profondi che lo abitano, li illumina, ne insegue le sfumature più diverse e che pure si ripetono e rincorrono uguali di generazione in generazione, senza distinzione di censo o cultura. Le donne raccontate in una lingua che attinge con forza a un abruzzese inedito in letteratura sono le protagoniste assolute dei romanzi di Donatella Di Pietrantonio, dallo struggente “Mia madre è un fiume” all’affascinante “L’Arminuta” così amato dai lettori, oltre che dalla critica, da portare la scrittrice nata ad Arsita nel 1963 e che a Penne vive – lavorando all’alba ai suoi libri e nella giornata come dentista pediatrico – il Premio Campiello 2017. Un successo per lei, un successo per l’Abruzzo così presente nei suoi romanzi, un successo per le donne da festeggiare in questo 8 marzo.
Che donna è Donatella Di Pietrantonio?
Sono una donna cresciuta negli anni in cui l’influenza del femminismo era ancora piuttosto forte anche in luoghi piccoli e periferici come dove io sono vissuta e dove pure arrivavano di riflesso echi e istanze delle battaglie dell’epoca.
Che la catturarono?
Mi appassionavano quei temi, mi toccavano. E per quanto possibile allora, parliamo di quando non c’erano i social e internet, mi informavo su quelle lotte. Erano anche gli anni della conquista della libertà sessuale e al riguardo leggevamo molto noi ragazze sui monti e cercavamo di tenerci al passo con un movimento che era forte soprattutto nelle grandi città.
Come viveva quella “rivoluzione” ?
I modelli adulti nei paesi erano indietro riguardo alla consapevolezza dei propri diritti in quanto donne e io vedevo arrivare poco di quei cambiamenti e presa di coscienza nel mondo adulto che mi circondava. Magari a scuola, nelle insegnanti, di più, ma in generale era tutto molto lontano e da venire, per cui noi ragazze sentivamo di dover fare tanto lavoro, noi come generazione, per innovare.
E oggi come vede le donne rispetto ad allora?
A me piacciono i giovani. Quello che apprezzo nelle ragazze e giovani adulte è la loro capacita di prendersi la vita, di cercarsi quello che desiderano. Le sento libere. E le vedo meno coinvolte nelle battaglie di genere rispetto ad altre generazioni. Diciamo però che quando le incontro – nelle scuole, all’università (dove la scrittrice si reca spesso per presentare il suo nuovo romanzo e parlare di scrittura ndr) – si parla d’altro. Ma certo non mi capita spesso di avere richieste o domande sui temi di genere, anche se nei miei libri sono molto rappresentati. Non sono molto interessate, la mia impressione è che forse abbiamo servito loro su un piatto certe conquiste che oggi danno per scontate, quindi non sono abbastanza coscientidi doverle difendere, mantenere e possibilmente migliorare e aumentare. Credo che sia stato un nostro difetto di comunicazione come generazioni di madri.
Ritiene quelle conquiste in pericolo?
Sicuramente la condizione della donna è cambiata e migliorata, ma questo non ci consente di abbassare la guardia. C’è molto da fare e molto da lottare. E penso alla quotidianità. Mi sento di denunciare in questo momento dal mio piccolo osservatorio personale che Penne, circa 12mila abitanti, sta perdendo letteralmente il diritto alla salute. Stiamo smobilitando l’ospedale grazie a una politica dissennata che ragiona solo sui numeri e non sulla complessità delle situazioni. E allora io dico che su questo ancora una volta sono le donne che pagano di più. A Penne, ma non solo qui, è stato chiuso il punto nascita ed è capitato che siano nati bimbi al pronto soccorso o quasi in ambulanza. Rischiamo di tornare indietro e le donne ne subiscono maggiormente le conseguenze. Io sono indignata per questo arretramento dei diritti e culturale. Vorrei che qualcuno che occupa livelli decisionali su questi argomenti faccia l’esperimento di partire da Penne in ambulanza, con le doglie o meno, per arrivare a Pescara lungo trenta chilometri di buche e buche. Poi li intervistiamo all’arrivo.
E c’è il capitolo della violenza. Che idea si è fatta del perché se ne riversi così tanta sulle donne?
E difficile rispondere. Evidentemente non siamo stati in grado come società di superare quei limiti culturali che creano solchi tra i generi. Difficile dire se le violenze sono aumentate nei numeri o nelle denunce, ma anche oggi non si denuncia abbastanza o in tempo. Altrimenti non staremmo sempre qui a fare la conta delle morti di donne. Questo ci racconta che non abbiamo superato ancora nodi importanti, non siamo riusciti a ridurre i numeri delle violenze né ad assicurare protezione più efficace. Gli uomini in molti casi non sono pronti ad accettare che le loro compagne o mogli vogliano riappropriarsi di una loro libertà. Hanno ricevuto un’educazione che non li ha preparati al rispetto e neanche a subire e gestire dentro di sé un abbandono.
Sulla questione delle molestie sessuali quale è il suo pensiero?
Io dopo mesi sono infastidita da questa fissa sulle molestie nel mondo del cinema, vorrei riportare la discussione su un piano più generale e ampio. Pensiamo alle bariste, alle commesse, alle operaie..., in qualsiasi ambito del lavoro ciò avviene. Trovo una sovraesposizione ingiustificata dopo tanto tempo nel mondo del cinema. È giusto che se ne sia parlato, però non si possono oscurare ancora a lungo tutte le categorie meno visibili e protette che forse hanno più bisogno do essere tutelate e riconosciute.
Cosa sta leggendo in questo periodo?
Proprio una donna, che ho apprezzato tanto, Rosella Postorino, “Le assaggiatrici”: intanto è veramente una storia interessante perché parla delle donne che dovevano verificare mangiandoli, che i piatti per Hitler non fossero avvelenati, sempre donne sì (sorride ndr) qui in una posizione ambivalente in quanto erano tedesche allo stesso tempo vittime e in qualche modo complici, perché lavoravano per il Führer.
Lei ha un figlio grande, un lavoro impegnativo e una passione forte. Come se la cava?
Ho cresciuto mio figlio diciamo “arrangiandomi”, come tutte le madri. Così come tutte le figlie con i genitori anziani. Dopo L’Arminuta si è imposta una ridefinizione dei tempi di lavoro e delle giornate con la consapevolezza dei miei limiti.
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