Le lenticchie di Santo Stefano: piccole, piatte, ricche di ferro

Quelle coltivate nella zona – in piccoli appezzamenti in quota – non sono comuni La ricetta facile facile che le rende ancora più speciali? Con tozzetti di pane fritti

Si racconta che negli anni Sessanta un famoso gioielliere romano, per festeggiare con i suoi amici la fine dell'anno, a New York, e volendo compiere questo rito con tutti i crismi imposti dalle regole del boom economico, chiamò al telefono il patron di un celebre ristorante aquilano chiedendogli una adeguata fornitura di lenticchie di Santo Stefano di Sessanio che egli aveva apprezzato nel corso di una delle tante frequentazioni del ristorante.

Il cuoco-ristoratore si procurò una congrua quantità del prezioso legume e volò nella Big Apple dove preparò questo gustosissimo piatto, in cambio del quale il biblico Esaù rinunciò alla primogenitura. Secondo gli storici, le lenticchie sono il primo cibo preparato dall'uomo e per millenni sono state considerate tra i prodotti più importanti nell'agricoltura e nel commercio, nonché alimento tra i più apprezzati ad Atene come a Roma.

Fatto sta che, secondo una diffusa credenza, in quanto di piccole dimensioni, a parità di peso con altri legumi le lenticchie si presentano nel piatto in numero maggiore: per questa ragione, mangiare lenticchie nel primo giorno dell'anno, induce a sperare di guadagnare un pari numero di monete d'oro. Sarà…

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Comunque, le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio sono un legume dalla forma leggermente piatta, piccolo e dal colore tendente al marrone scuro e dal diametro massimo di due millimetri. Si caratterizzano per il loro gusto unico, superbo e per la ricchezza di ferro contenuta in esse, ben superiore alla media. Espressione dell'agricoltura montana abruzzese, la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio (Lens culinaris medicus biotipo "Santo Stefano di Sessanio"), viene coltivata in piccoli appezzamenti ad una altitudine compresa tra i mille e i 1.500 metri di quota, in assoluta assenza di contaminazioni chimiche o aeree.

Non si tratta di una lenticchia comune, ma di un prodotto che si è tipizzato tra queste montagne a partire dall'anno 998: anno certo della sua importazione dalla Turchia. A Santo Stefano di Sessanio, borgo medievale dell'aquilano che sorge all'interno del massiccio del Gran Sasso, la lenticchia ha trovato il proprio habitat ideale, fatto di inverni lunghi e rigidi alternati a primavere brevi e fresche. Da sempre è la rivale di quella altrettanto celeberrima di Castelluccio di Norcia, in provincia di Perugia.

La ricetta che andiamo a descrivere – semplicissima! – è quella originale di Santo Stefano e per la sua perfetta riuscita è assolutamente necessario utilizzare le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio: se non ne disponete, desistete!

Lavate le lenticchie e metterle in un tegame di terracotta insieme a quattro cucchiai di olio extravergine di oliva, due spicchi di aglio rosso di Sulmona, due foglie di alloro, due coste di sedano, un pezzetto di peperoncino secco, un cucchiaio di conserva di pomodoro. Versate poi acqua fino a quattro dita al di sopra delle lenticchie. Fate cuocere a fiamma moderata per 25 - 30 minuti. Quando l'acqua è evaporata quasi del tutto, regolate di sale e di pepe, spegnete il fuoco e lasciate riposare.

La “morte loro” è con i tozzetti fritti (pane casereccio raffermo, tagliato a cubetti e fatto saltare in una padella antiaderente con un filo d'olio, fino a che non diventa croccante). Le lenticchie sono ottime anche con le sagnarelle o con gli gnocchetti di acqua e farina. Ma sono superbe anche per accompagnare le salsicce o lo zampone, per un piatto tipico della notte di San Silvesto: in questo caso sarà sufficiente aggiungere alla ricetta altri due cucchiai di conserva di pomodoro e di coprire con due dita di acqua anziché con quattro. Il resto della preparazione resta invariato.

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