L'AQUILA

Paolo Mieli: «Verrò a vivere in Abruzzo» 

Il giornalista e scrittore a Tempera per presentare il suo nuovo libro. «Il Gran Sasso, uno dei più grandi spettacoli del mondo»

L’AQUILA. Vincitori e vinti, memorie in antitesi, come nel gioco delle perle di vetro che riflettono la stessa luce, ma ogni volta diversa al mutare dell’angolazione. Si intitola “In guerra con il passato. Le falsificazioni della storia”, il nuovo libro di Paolo Mieli, giornalista, saggista e storico, che offre nuovi spunti di riflessione su fatti non ancora sufficientemente chiariti, che hanno attraversato e attraversano la storia. Da Cicerone agli schiavi di Lincoln, fino alla trattativa Stato-mafia, passando per le Guerre mondiali, il volume, edito da Rizzoli, è il tentativo di opporsi al recinto claustrofobico del pensiero unico, una rilettura della storia per fare pace col passato, e comprendere il presente. La presentazione del volume, curata da Greta Salve, autrice di programmi di storia economica per Mieli, e dall’associazione “Il Pungolo” si è tenuta a Tempera, grazie al sostegno della Fondazione Carispaq, L’ex direttore del Corriere della Sera e de La Stampa di Torino, visita spesso l’Abruzzo.
Che cosa c’è alla base del suo rapporto speciale con questa regione?
Venni qui a presentare dei libri, poi capitai a Civitella del Tronto e mi offrirono la cittadinanza onoraria. Partendo da questo piccolo centro ho conosciuto meglio il resto della regione, L’Aquila, e non solo per i temi del terremoto, Pescara, Ortona, e anche centri più piccoli. Da bambino lo conoscevo per esserci venuto a sciare qualche volta. Ora, invece, ho deciso che verrò a viverci. . .
Cosa le piace e cosa cambierebbe, invece, dell’Abruzzo?
Come tutti coloro che si sono innamorati recentemente, mi piace quasi tutto e cambierei molto poco. Direi qualcosa del carattere degli abruzzesi, che a mio avviso agiscono meglio di come parlano. Hanno una grande capacità reazione, ma quando succede una disgrazia continuano a parlarne ossessivamente, e questo non aiuta. Io preferisco l’Abruzzo del fare, quello delle persone che si rimboccano le maniche e si industriano, vanno avanti. Quello è l’Abruzzo di cui sono innamorato io. C’è una zona che mi piace in modo particolare, è il Gran Sasso visto da Teramo, uno degli spettacoli più belli del mondo.
Lei è stato direttore dei principali quotidiani italiani. Dirigeva il Corriere della Sera negli anni di Tangentopoli, un termine coniato proprio dal suo giornale. Che ricordi ha di quel periodo, dal punto di vista della professione?
Il ricordo di un momento molto esaltante. Allora ci sembrava che l’Italia sarebbe cambiata radicalmente, purtroppo poi non fu così. Un ricordo entusiasmante, anche se in quei momenti si consumò qualche ingiustizia. Pubblicammo nomi di persone indagate in maniera molto vistosa, non li pubblicammo quando furono assolti in maniera altrettanto vistosa.
È cambiato il modo di fare giornalismo in questo arco di tempo?
Sì, è cambiato, e non sempre in meglio. Il web ha molto facilitato il reperimento delle notizie, però questa facilitazione ha anche deresponsabilizzato il giornalista. Questo è qualcosa che seleziona in modo spietato i giornalisti. Sono pochissimi quelli che possono permettersi di lavorare in modo “antico”, verificando, quelli che finché non sono certi aspettano. Gli altri, anche solo per motivi di fretta, sono costretti a fare lavoro più approssimativo. Alla lunga si paga, perché diventano meno credibili e non fanno strada.
È vero che è colpa di internet se la carta stampata è in crisi, oppure pensa che parte delle responsabilità andrebbe ricercata altrove?
Internet è stato per la carta stampata quello che è stata la televisione per il teatro. Certo ha ridotto gli spettatori, ma dire che la causa dei mali del teatro è la tv è una stupidaggine. Penso che ci sia un grandissimo futuro. Occasioni ce n sono infinitamente di più. Si tratta di inventare nuove tipologie di informazione.
Giornalismo e storia: i giornalisti sono gli storici del presente?
Sì, a patto che siano intellettualmente onesti, perché consegnano agli storici veri e propri una rappresentazione del presente, e sotto la condizione che di qualsiasi informazione si presenti anche la versione opposta, argomentata.
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