Silvestro Rosati, la vita  avventurosa dell’abruzzese  che costruì la Transiberiana 

Agli inizi del ’900 lavorò in Siberia e in Cina ma chiese di essere sepolto nella sua Cerchio Il viaggio di ritorno in Italia della bara durò cinque mesi su barche, cavalli e altri mezzi

Tra le migliaia di pagine dell’Opera Omnia di Carlo Emilio Gadda c’è un indizio, suggestivo quanto piuttosto sibillino, che assicura inestinguibile memoria a un leggendario personaggio dell’epopea che fu l’emigrazione abruzzese: «Gente andata pel mondo nei lavori di ferrovia e di miniera: reduce sempre dal mondo ai luoghi dell’infanzia; uno, divenuto ricco alla Cina e morendovi, tanto anelava di risalutare Capistrello che in agonia volle disporre per il rimpatrio da morto: e dopo anni ed anni, il paese e la gente che lo avevano scordato si videro arrivare la cassa».
Il testo risale al 1934. Gadda, allora non ancora consacrato tra i massimi protagonisti del Novecento letterario europeo, era arrivato in Abruzzo come inviato speciale per il quotidiano La Gazzetta del Popolo di Torino.
Nessuno ha mai saputo chi fosse realmente quel personaggio. Né a qualcuno, tra gli autori della sterminata bibliografia internazionale su Gadda, è venuto in mente di scoprirlo. Non è stato facile identificarlo, tanto piú per via dell’imprecisione anagrafica dettata da Gadda. Infine, è toccato in sorte a me di rintracciare gli elementi per sciogliere il mistero, a cominciare dalla scoperta che dove Gadda dice Capistrello bisogna intendere Cerchio.
Quel personaggio è Silvestro Rosati, emigrato dalla poverissima Marsica di fine Ottocento: uno di quelli che, dotati d’ingegno e fantasia nonché d’una buona esperienza pratica e d’una gagliarda forza d’animo, hanno sbalordito il mondo, figliando la rinomanza del lavoro italiano all’estero.
Silvestro in Cina finí col morirci e lasciò il denaro per riportare la salma a Cerchio. La strada verso la Cina era stata inusuale, lunga, tortuosa e avventurosa, come lo sarebbe stata quella del successivo viaggio a ritroso.
Nato nel 1864, Silvestro, a vent’anni, avvia la grande avventura della sua vita. All’inizio, incrocia abbastanza vicino, se cosí si può dire: Africa, Turchia, Grecia, Bulgaria. Poi, s’immerge nelle immensità della Russia e arriva fino in Siberia. Giusto negli anni in cui Silvestro si spinge sempre piú verso Est si sviluppa l’epica impresa di costruzione della Transiberiana. Silvestro lavorerà fino al 1902 per la parte terminale dei 9.300 chilometri di binario della linea principale. Successivamente, compare in Giappone e in Viet Nam. È presente anche in Manciuria. Il punto d’approdo terminale è la Cina meridionale.
Conclusa la costruzione della Transiberiana, Silvestro deve cercarsi un altro lavoro. Dopo un po’, ne trova uno che gli va quanto mai a genio: i francesi hanno cominciato a stendere una nuova ferrovia, per collegare le sterminate miniere di stagno e rame dello Yunnan (una regione vasta piú dell’intera Italia) con il porto vietnamita di Haiphong. La ferrovia attraversa Hanoi e un ampio settore di quello scenario che per buona parte del Novecento incornicerà l’eroica lotta dei vietnamiti contro il colonialismo occidentale. La ferrovia verrà completata nel 1910, sei anni dopo la morte di Silvestro.
Lo Yunnan a Silvestro deve piacergli assai. Del resto, in qualche modo gli ricorda «i luoghi dell’infanzia». Non per niente, lí abbonda la produzione di patate e zucchero, come nel Fúcino. Da quelle parti era da sei secoli, dai tempi di Marco Polo, che non si vedeva un italiano. Nello Yunnan, Silvestro diventa un personaggio popolare, oltre che una persona rispettata. Ci mette su casa, nei pressi della capitale Kunming, insieme con una ragazza cinese, conduce brillantemente la sua attività, forse - secondo le usanze locali - si guadagna un nuovo nome cinese, non è da escludere che metta al mondo dei figli. Però, le fatiche quotidiane e l’inospitalità dei luoghi in cui è andato lavorando lo spengono che ha appena quarant’anni.
Racconta infatti Flaminio Pagani, l’imprenditore comasco che, in società con Rocco De Santis di Rocca di Mezzo, gestiva l’impresa di appalti ferroviari per la quale lavorarono in Russia e nell’estremo Oriente decine di tecnici e operai italiani, quasi tutti provenienti dalla provincia dell’Aquila, tra i quali, nel ruolo di sub-appaltatore, Silvestro: «L’ambiente di lavoro è a volte veramente infernale: fanghiglia sino alla vita, dopo certi smottamenti improvvisi; l’aria satura di umidità che soffoca la respirazione; fumo e vapori densi soffocanti sono ovunque, ed è impossibile non risentirne le conseguenze dannose per la salute».
Morto Silvestro, nel 1904, comincia un’altra e non meno mirabolante avventura: quella del viaggio della salma attraverso i continenti. Durò cinque mesi, su barche, a cavallo, a piedi e con qualsiasi altro mezzo, avendo davanti intricate frontiere da scavalcare, differenti lingue e usanze con cui confrontarsi, l’Asia e l’Europa orientale con le inquietanti vie di comunicazione di allora.
Nel luglio del 1907, quando il fratello realizza il monumento di marmo bianco sulla tomba di Silvestro, c’è qualcun altro che sta facendo piú o meno il medesimo viaggio della salma del Cinese di Cerchio: il principe Scipione Borghese, accompagnato dal meccanico Ettore Guizzardi e da Luigi Barzini, inviato speciale del Corriere della Sera. È la sfida di andare da Pechino a Parigi in 60 giorni, la corsa piú avventurosa nella storia dell’automobilismo. La vettura è un’Itala di serie e, delle 25 iscritte alla gara, sarà l’unica a portare a compimento l’impresa. Partita il 10 giugno da Pechino, l’Itala raggiunge trionfalmente Parigi il 10 agosto. S’è lasciati alle spalle 16.000 km, dei quali 12.000 su strade non asfaltate o a malapena tracciate o proprio inesistenti. In tutto il mondo, quell’impresa diventa una leggenda.
Pure l’avventura di Silvestro da morto è, a suo modo, incorniciata da un alone leggendario: la salma aveva percorso poco meno del doppio dell’Itala, quanto a kilometri, in poco piú del doppio, quanto a tempo. Sostanzialmente, l’automobile e la bara avevano mantenuto la stessa andatura, percorrendo entrambe, per un buon tratto, la “Via della Seta”, l’antichissimo itinerario tra la Cina e l’Occidente.
Si può immaginare lo sbalordimento suscitato a Cerchio dall’imprevedibile arrivo della salma e da quegli occhi a mandorla di scorta mai prima visti da quelle parti.
A differenza di Marco Polo, di Matteo Ricci e di quant’altri lo precedettero, Silvestro la Cina non ha potuto raccontarla con i libri. Lui, tuttavia, è stato uno di quelli che la Cina hanno aiutato a renderla piú sicura e meglio vivibile. Avendo contribuito a tracciare il grande itinerario della pacifica convivenza tra tutti i popoli, Silvestro Rosati è stato uno di quelli che assicurano un futuro al viaggio verso un mondo migliore.
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