Suburbicon l’America anni ’50 di Clooney 

La nuova pellicola da regista dell’attore. Proietti con Gassmann e la Boston dell’Ira

In viaggio con papà. Non è un tema nuovo al cinema, ma, poiché le famiglie non sono tutte uguali (specie quelle infelici, come diceva Tolstoj nell’incipit di “Anna Karenina”) si può vedere con curiosità “Il Premio”, terza regia di Alessandro Gassmann, che ne è anche interprete. Gassmann junior è Oreste, il figlio. Gigi Proietti è Giovanni, il padre. Un padre ingombrante, istrionico, egocentrico, di successo, molti figli da compagne diverse. Una specie di Vittorio Gassmann, insomma. Con il quale sembra fare i conti Alessandro, mentre il suo Oreste li fa con Giovanni. Il famoso scrittore, Giovanni Passamonte, autore di bestseller internazionali, ha avuto una vita esagerata. Ma ha una paura, l’aereo. Perciò, quando deve recarsi a Stoccolma per ricevere il Premio Nobel per la letteratura, si fa portare in auto fino in Svezia dal fido assistente Rinaldo (Rocco Papaleo). Oreste, personal trainer col sogno di aprire una palestra, accetta per soldi di accompagnare il padre. Con loro anche una sorellastra di Oreste, Lucrezia (Anna Foglietta), titolare di un blog di viaggi. Ad alterare equilibri già precari intervengono la giovane musicista Britta (Matilda De Angelis) e il suo amico Andrea (Marco Zitelli), figlio di Oreste che vive all’estero. Il viaggio sarà inevitabilmente l’occasione per conoscersi e chiarire rapporti irrisolti.
In sala da ieri anche la nuova regia di George Clonney, “Suburbicon”, da una sceneggiatura dei fratelli Coen. Matt Danon e Julianne Moore sono i coniugi Lodge, Gardner e Rose, che col piccolo Nicky (Noah Jupe) formano una famiglia modello nel lindo sobborgo bianco di una cittadina americana degli anni Cinquanta. Con un taglio cinico e grottesco da commedia nera, il film prende spunto da un fatto reale: l’esplosione dell’odio razzista contro una coppia afroamericana che osò trasferirsi in un ridente quartiere bianco di Levittown, in Pennsylvania. Nel film Gardner, Rose e la gemella Margaret (sempre interpretata da Julianne Moore) sono i vicini dei Meyers, la coppia nera, contro cui si scatena la comunità di Suburbicon. Intanto nell’amena famigliola accade un omicidio.
Esce oggi l’impertinente commedia “Due sotto il burqa”, opera prima della regista iraniana Sou Abadi, da vent’anni a Parigi. Per prendere in giro i fondamentalisti, ma anche riflettere sulle contraddizioni della società multiculturale, l’atea Sou si ispira al Billy Wilder di “A qualcuno piace caldo”. Anche qui c’è un colpo di fulmine scatenato da un equivoco di genere. Nella capitale francese gli iraniani Leila e Armand (Félix Moati e Camélia Jordan) studiano Scienze politiche e si amano. I genitori di lui sono scappati dall’Iran dopo l'ascesa di Khomeini. Un giorno a casa di Leila piomba il fratello Mahmoud (William Lebghil), reduce dallo Yemen dove ha aderito al radicalismo islamico. Come prima cosa Mahmoud vieta alla sorella di incontrare Armand. Che trova una soluzione: indossare il burqa e presentarsi a casa dei due come la studentessa Sheherazade, per delle ripetizioni. La situazione si complica quando Armand/Sheherazade fa innamorare Mahmoud.
“Free Fire” di Ben Wheatley ci porta a Boston nel 1978. In un deposito abbandonato avviene l’incontro tra militanti irlandesi dell’Ira e una banda di trafficanti d’armi per la vendita di un carico. Ma durante la consegna qualcosa improvvisamente va storto e i due gruppi cominciano a spararsi senza tragua. Con Cillian Murphy, Sharlto Copley, Armie Hammer e il Premio Oscar (per “Room”) Brie Larson. In sala anche “L’insulto” di Ziad Doueiri, candidato dal Libano agli Oscar. Un litigio nato da un banale incidente porta in tribunale il meccanico Toni, cristiano maronita, e Yasser, ingegnere palestinese. E con loro un passato collettivo di massacri reciproci. Perdonare e dimenticare, l’insegnamento di Doueiri.
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