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Tony Esposito: il mio amore per l’Abruzzo e Pino Daniele

Il percussionista domani a Roseto in un concerto tributo al cantautore napoletano nel secondo anniversario della morte: «Con lui la musica era sempre una magia»

di Giuliano Di Tanna

«Pino era un napoletano particolare: molto dolce ma anche brusco, a volte. Pochi giorni prima di morire, fece una cosa che porto con me. Per la prima volta in quarant’anni mi disse: “Sai Tony, ti voglio bene”».

Tony Esposito ha diviso palchi e camere d’albergo, studi di registrazione e strade di Napoli, con Pino Daniele, il cantautore di cui oggi ricorre il secondo anniversario della morte. Il percussionista napoletano celebrerà quell’amicizia con un concerto, domani sera a Villa Paris di Roseto, la città dei genitori di sua moglie, dove ha casa (vicino alla pineta) e dove trascorre una parte dell’anno. Insieme a lui sul palco ci sarà una band composta da Massimo Di Matteo (chitarre e voce), Piero Tartarelli (chitarra classica), Marco Galanti (chitarra acustica) e Lino Pariota (tastiere). Alla vigilia del concerto, Esposito parla del suo rapporto con Daniele, con l’Abruzzo e con la musica in questa intervista al Centro.

Che tipo di tributo a Daniele sarà il concerto di Roseto?

Sarà un tributo particolare, musicale ma anche raccontato. Non sarà il concerto di una cover band. I concerti tributo sono gestiti dal figlio di Pino, Alessandro, che guida la Fondazione Daniele. Con la vecchia band di Pino, io, James (Senese ndr) e Tullio (De Piscopo ndr) di concerti tributo ne facciamo almeno tre all’anno. Sono contento, però, che ci siano centinaia di gruppi che tengono viva la memoria di Pino, perché lui è stato uno degli autori più importanti del Novecento.

Cosa affascina le nuove generazioni della sua musica?

La forza, il valore compositivo con cui Pino ha saputo coniugare tre poli importanti: la cultura del Sud d’Italia, quella mediterranea e latinoamericana e il blues-rock. Ha tenuto insieme queste tre cose in maniera sapiente, senza eccessi, senza volgarità, creando una fluidità fra poli così diversi.

Com’era suonare con lui in concerto?

Abbiamo suonato insieme per tanto tempo negli anni Ottanta. Poi abbiamo ripreso negli ultimi 15 anni con la reunion del gruppo. Per me era come suonare con i grandissimi. Pino era uno severo. Era un cultore della musica, amava la precisione del suono sul palco. Con lui i concerti erano sempre due: il soundcheck, che era sempre lunghissimo e meticoloso, e il concerto vero e proprio. Poi, la sera, sul palco ci poteva essere sempre tanta improvvisazione; il pezzo che suonavi poteva cambiare. Aveva una saggezza che lo avvicinava alla musica orientale dove la vibrazione del suono deve essere perfetta perché la musica abbia una funzione terapeutica. Con lui c’era una grande ritualità del suono che suona strana in un periodo come quello attuale in cui, in tv o su youtube, tutta la musica sembra omologata.

Quali musicisti amava Pino Daniele?

Potrei nominare tantissimi artisti americani, giapponesi, cinesi.

E tra gli italiani?

Quelli che amo anch’io: sicuramente Battiato , Enzo Avitabile ed Eugenio Bennato, attenti come lui alla ritualità del suono. E naturalmente Lucio (Dalla ndr) o Mango. Tutta gente che non soffriva di quell’ansia da classifica tipica di tanta musica leggera. In questo, Pino e io ci somigliavamo tantissimo.

Che cosa vi univa di più?

Il senso di magia della musca. L’idea cioé che la musica deve trasportarti altrove, deve aprire delle porte, coinvolgerti e, forse, anche migliorarti. In quell’attimo dell’ascolto e dell’esecuzione deve essere capace di aprirti delle prospettive nuove.

Qual è il suo rapporto con l’Abruzzo?

E’ particolare. Sono sposato con una donna che ha i genitori che vivono a Roseto. A Roseto passo alcuni periodi dell’anno. A Natale ero lì, per esempio. Conosco tutta la storia di Roseto. Gli abruzzesi mi piacciono.

Perché?

Perché sono imprevedibili, hanno molto calore, sono romantici. L’Abruzzo mantiene ancora quest’aria di Otto-Novecento. Una cosa che adoro è la campagna abruzzese, oltre al cibo naturalmente; ma non solo gli arrosticini. L’Abruzzo è capace di portarmi in posti immaginari, come una madeleine proustiana.

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