Viani: i riti arcaici vivranno se avvicinati ai nostri tempi 

Il regista abruzzese a Francavilla con il suo film documentario “Un paese a colori” racconto del corteo delle maschere carnevalesche di Castiglione Messer Marino

FRANCAVILLA AL MARE . «Nel west della provincia di Chieti non fosse per i confini politici con l’alto Molise si potrebbe pensare di trovarsi in Perù. Una festa meravigliosa che risale alla notte dei tempi e che rischia di scomparire per via della modernità che ne va cancellando le tracce identitarie, la ritualità. Di questo come di altri riti».
Il regista Dino Viani presenta l’ultima perla della sua epopea del mondo contadino abruzzese, il film documentario “Un paese a colori. Il Carnevale di Castiglione Messer Marino”, sabato 27 aprile, ore 17 , spazi del Museo Michetti di Francavilla in piazza San Domenico, ingresso libero.
Un lavoro indipendente, di 30 minuti, realizzato lo scorso febbraio in occasione della sfilata della “mascra”, il corteo di maschere carnevalesche guidato da coloratissimi pulcinella che corrono per le vie del paese indossando alti copricapi a forma conica. Prodotto da Terre Immaginarie Film in collaborazione con l'associazione castiglionese Pulgnella, il filmato prende spunto dai ricordi della festa vissuta dagli anziani del paese per in qualche modo «rielaborarne la memoria e salvaguardarla dall'oblio della modernità» come racconta l'autore e regista di Ari al Centro. Dopo l' anteprima a Francavilla “Un paese a colori” verrà presentato nel suo luogo d'origine, Castiglione Messer Marino».
Viani, al di là del documentario tout court cosa ha voluto rappresentare con il suo ultimo lavoro?
«“Un paese a colori” è un tentativo di ritrovare il volto della creatura umana e arginare la rimozione in atto dei riti di comunità, del tempo condiviso, il tempo della festa attesa tutto l'anno. Oggi non si avverte più la necessità di condividere esperienze reali con i propri simili, si vive in modo individualista cercando forme virtuali di intrattenimento e aggregazione, una deriva sociale e culturale. C’è confusione sull’idea di “conservazione” del passato, del “c’era una volta”, non serve la retorica del ricordo ma l’intelligenza della rappresentazione di gesti e ricordi che hanno dato senso a quel rito».
Il Carnevale di Castiglione M. M. rappresenta un costume antico ancora praticato in pochissimi comuni dell'entroterra appenninico e strettamente legato alla cultura e alla civiltà di montagna. Come si dà nuovo ossigeno a un rito arcaico?
«Se non capiamo come sono nati i racconti del focolare e le motivazioni che hanno portato delle genti a creare rappresentazioni collettive come questa, non riusciremo mai a salvarli dall’oblio. Bisogna capirne l’origine, l’isolamento di una comunità di alta montagna che restava isolata per mesi dalle nevicate ha stimolato l’immaginario, il desiderio di socializzazione e di ricreazione per superare l’esilio dei lunghi mesi invernali. Il benessere moderno e lo spopolamento di questi luoghi hanno contribuito all’estinzione di tradizioni collettive tramandate per secoli, oggi considerate reminiscenze di una cultura obsoleta e arcaica. Pensare di conservarle a tutti i costi significa non voler prendere atto dei cambiamenti sociali, culturali e antropologici avvenuti».
Come salvarli allora?
«Avvicinandoli al nostro modo di vivere, partecipando a occhi aperti ricollocandoli nel tempo che viviamo. È come riattualizzare un mobile d’epoca nell’arredamento contemporaneo».
Che cosa l’ha più affascinato di questa festa?
«La bellezza dell’espressione spontanea di una comunità, il messaggio di inclusione, l’accoglienza del “forestiero” attraverso il rito del cibo, le “Sagne a la cotteure” mangiate con le mani dallo stesso paiolo, il massimo della condivisione con l’altro. Un modo nobile di riaffermare quel senso di appartenenza, di comunità, senza la quale si è perduti».