Addio a Marcocci:  perdonò i nazisti che uccisero il padre 

È morto il figlio di una delle vittime della strage di Filetto Cercò di far riconciliare i suoi compaesani con Defregger

L’AQUILA. Quando il padre Domenico, fu ucciso a soli 36 anni dai nazisti lui aveva 10 anni. Diventò di colpo adulto e il ricordo della strage compiuta dall'esercito tedesco a Filetto il 7 giugno del 1944 non lo ha mai abbandonato. Antonio Marcocci è morto all'età di 84 anni. I funerali si sono svolti nella chiesa di San Pio X al Torrione celebrati dall'arcivescovo emerito Giuseppe Molinari.
L'ULTIMO DESIDERIO. Ai suoi familiari aveva espresso un ultimo desiderio: essere sepolto nello stesso cimitero dove 74 anni fa furono posti suo padre e le altre 16 vittime dell'eccidio. Essendo residente all'Aquila (anche se negli ultimi anni ha abitato a Pescomaggiore) c'è voluta un’ordinanza a firma del sindaco Pierluigi Biondi con la quale è stata “concessa l'inumazione della salma nel cimitero di Filetto”. Ma la storia di Antonio Marcocci è la storia di un uomo di grande fede che si espresse più volte a favore del perdono cristiano nei confronti dei massacratori della popolazione di Filetto.
LA STRAGE NAZISTA. La strage nazista del 1944 – come tante altre di quel terribile periodo storico – è stata a lungo dimenticata. Nel 1969, grazie a un articolo del giornale tedesco Der Spiegel, si venne a sapere che uno dei responsabili, il capitano Matthias Defregger (della 114esima divisione cacciatori) nel dopoguerra era entrato in seminario, aveva fatto carriera e nel 1968 era stato nominato vescovo ausiliare di Monaco di Baviera e Frisinga. Ne nacque un caso di cui parlarono i giornali – tedeschi e italiani soprattutto – e i telegiornali; ci furono esposti, denunce, consigli comunali, interrogazioni parlamentari. Un regista, Osvaldo Civirani, della storia di Filetto ne fece anche un film “Quel giorno Dio non c'era” girato nel paese pedemontano con comparse locali. Le magistrature italiana e tedesca indagarono a lungo ma senza approdare a nulla. Nessuno è stato mai condannato in tribunale per i morti del 7 giugno 1944. Defregger ha continuato la sua vita ed è morto nel 1995 a 80 anni.
IL PERDONO. Negli anni in cui scoppiò il caso l'allora parroco di Filetto, don Demetrio Gianfrancesco tentò la strada della riconciliazione e del perdono (lo fece anche alla morte di Defregger ma alla messa in suffragio del vescovo non si presentò quasi nessuno). Antonio Marcocci fin dall'inizio appoggiò l'iniziativa di don Demetrio. Nel luglio del 1970 si recò a Monaco con il parroco e un altro abitante di Filetto, Levantino Ciampa, per incontrare Defregger e la vedova di un militare tedesco che era stato ucciso proprio a Filetto. Anni dopo don Demetrio (che era anche un valente storico) scrisse un libro sul borgo di cui era stato per tanti anni parroco e raccontò nel dettaglio la strage nazista, il ruolo di Defregger, ciò che scrissero i giornali, e anche la sua visita di riconciliazione in Germania. C'è pure un ampio capitolo sul tema del perdono. Fu Defregger che con una lettera aveva chiesto ai filettesi di essere perdonato per ciò di cui si era reso responsabile. Il 21 dicembre 1969 una delegazione tedesca guidata da un sacerdote giunse a Filetto. Fu celebrata una messa e alla fine ci fu uno scambio di saluti.
IL DISCORSO. Fu in quel contesto che parlò Antonio Marcocci sul tema della riconciliazione e del perdono. Nel libro è riportato il suo intervento: «Tra qualche giorno», disse Marcocci, «il Signore manderà sulla terra il suo Figlio per portare la pace agli uomini di buona volontà. Noi raccogliamo l’invito e ci auguriamo che questo gesto che stiamo compiendo (riconciliazione e perdono ndr) nel paesino di Filetto, sperduto in un angolo della terra, sia di esempio a tutti gli uomini, perché non vedano solo nell’odio e nella guerra il loro modo di vivere e di dominare. Forse moltissime persone criticheranno questo nostro gesto; non dobbiamo dolercene, anzi ne dobbiamo gioire poiché siamo sicuri che i nostri cari ci giudicheranno con un metro diverso poiché già fanno parte del mondo dei giusti, diverso da quello degli esseri terrestri, che vedono solo ricchezze, dominio e prepotenze. Il gesto che or ora abbiamo compiuto non deve essere interpretato male, deve essere e deve rimanere quello che è, e cioè riconciliazione ed esempio per i nostri figli a che non si avventurino più in follie che potrebbero procurare agli altri ed a loro stessi un senso di sgomento e di raccapriccio per quello che hanno fatto. Questo paesetto, che ha attirato l’attenzione mondiale per i tragici fatti del giugno 1944, ora deve attirare simpatia e deve essere preso a modello per tutti i popoli per l’esempio di fratellanza che da esso parte. Ci dobbiamo ricordare che dinanzi a Dio noi siamo tutti fratelli e come fratelli dobbiamo amarci ed aiutarci affinché siamo degni di colui che per redimerci non ha esitato a dare la vita. Ritornate pure in Germania e portate ai vostri connazionali questo messaggio: Filetto non odia, i congiunti dei caduti non sanno odiare, in loro c’è rassegnazione, c’è fiducia e soprattutto c’è la consapevolezza che dinanzi a Dio siamo fratelli e come fratelli dobbiamo saperci amare».
70 ANNI DOPO. Antonio Marcocci ha lavorato come geometra alla Provincia. Nel 1971 aveva progettato il sacrario nel cimitero di Filetto con le tombe delle 17 vittime dei nazisti una a fianco all'altra. Nel 2014 in occasione dei 70 anni dalla strage ha fatto apporre una lapide a fianco al sacrario sulla quale si legge: “Carissimi 17 martiri, a 70 anni da quella notte spaventosa e folle, uomini senza cuore con le armi e col fuoco vi diedero la morte staccandoci da voi che siete sempre rimasti nei nostri cuori nella certezza di riabbracciarvi nel giorno della Resurrezione per vivere eternamente con voi”. Nella città di Celestino V e della Perdonanza la storia di Marcocci andrebbe incorniciata. Perdono e riconciliazione sono stati il faro della sua vita e non solo chiacchiere davanti a una telecamera o vociando dentro un corteo una volta l'anno.
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