«Addio Italia ingrata qui non c’è lavoro»

Ovindoli, famiglia al bivio: noi costretti a emigrare in Canada

OVINDOLI. «Biglietti fatti… Addio Italia!». È così che Maria Grazia Piemari, celanese residente a Ovindoli, dà l’annuncio ai suoi amici di Facebook dell’imminente partenza per il Canada. Maria Grazia lascia l’ltalia insieme a suo marito Serafino Melone e alla loro bimba di tre anni, Emma. In nord-America conta di trovare più facilmente un’occupazione. «Soffro a pensare di allontanarmi dai miei genitori, dagli amici, dai miei fratelli ma la priorità adesso è il benessere di mia figlia», commenta Maria Grazia Piemari, «per noi non è una sconfitta, abbiamo provato in tutti i modi a restare, a trovare un lavoro che ci permettesse di riuscire a programmare un futuro per Emma, ma non si siamo riusciti nonostante abbiamo cambiato mille lavori e tanti sacrifici».

Di pari passo la storia dei due coniugi. «Ho iniziato a lavorare quando avevo 19 anni», racconta Maria Grazia, «e ho fatto di tutto: ho iniziato come aiutante nella cucina di una pizzeria. Poi, per diversi anni, sono stata collaboratrice domestica in una famiglia, sono stata operaia in una fabbrica di cravatte, barista, cassiera in un supermercato, commessa in un centro commerciale e alla fine mi sono ritrovata senza lavoro. Ho sempre avuto contratti che non mi permettevano di uscire dal mondo del precariato e che, quindi, non mi davano nessuna stabilità dal punto di vista economico. Gli unici contratti da dipendente, anche se sempre a tempo determinato, me li hanno fatti quando sono emigrata nel nord Italia, in provincia di Como, dove ho lavorato in una fabbrica e poi in un bar».

«Adesso sono arrivata a 40 anni», precisa la giovane mamma, «e sono oramai fuori dal mondo del lavoro. Anche mio marito ha avuto solo contratti saltuari e non sempre regolarmente registrati fino a quando, sei anni fa, ha iniziato a lavorare per una ditta di Ostia, proprietaria di un negozio di elettrodomestici e telefonia all'Aquila. Con mille escamotage sono riusciti a farlo lavorare sempre con contratti a scadenza, poi lo hanno trasferito in un nuovo negozio di telefonia ad Avezzano, per poi dichiarare definitivamente fallimento e chiudere. Per non restare senza lavoro, mio marito ed altri suoi colleghi hanno rinunciato alla liquidazione in cambio del negozio. La situazione però era insostenibile: non si possono mantenere sei famiglie con due negozi. Alla fine io e mio marito abbiamo deciso insieme di chiedere un mutuo in banca per arrivare a ricomprare le quote degli altri soci».

E così è iniziata la lunga storia della richiesta, in vari istituti di credito, di un mutuo. Più di una banca, da subito, non si è resa disponibile a prendere nemmeno in considerazione la pratica, con la motivazione che Maria Grazia e Serafino non offrivano abbastanza garanzie, fino a quando un istituto di credito ha lasciato in attesa per quattro mesi i due coniugi, restituendo loro una speranza. Alla fine, però, l’esito è stato lo stesso: “poche garanzie, niente mutuo”. «Il tutto nonostante che a garanzia del mutuo era stato messo un immobile, valutato dalla stessa banca, che valeva quattro volte la somma richiesta», spiega Maria Grazia, «ed è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il nostro sogno è avere un altro figlio ma qui in Italia è impossibile. Abbiamo deciso così di trasferirci a Montreal, dove vive da quattro anni la sorella di mio marito. Mia cognata si è laureata in Italia, all'Accademia delle belle arti». Il governo canadese le ha riconosciuto la laurea, con un corso integrativo di un anno e con un corso di francese, pagato dallo Stato, durante il quale ha percepito anche 800 dollari al mese, adesso ha un buon lavoro.

«In Canada ha avuto un secondo bambino», conclude, «le visite che ha eseguito durante la gravidanza le ha fatte gratuitamente, dopo 2 anni di permanenza ha chiesto il mutuo per la casa e in sole 24 ore gli hanno concesso 180mila dollari e come unica garanzia lo stipendio di mio cognato». La partenza è prevista per martedì prossimo: «Voglio che mia figlia viva nella serenità di una famiglia che le garantisca un futuro e questo futuro, per noi, non porta più il nome Italia!».

Magda Tirabassi

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