Avezzano, «Da otto mesi non abbraccio mio figlio»

Il dramma di un padre separato. Decisione del tribunale disattesa: troppe pratiche da sbrigare, non c’è l’assistente sociale

AVEZZANO. Da luglio non abbraccia suo figlio. E dallo scorso novembre è in lotta con una burocrazia miope ed elefantiaca. Per la precisione dal 25 novembre, da quando il tribunale di Avezzano ha disposto, nell’ambito del procedimento di separazione dalla moglie, che l’uomo potesse vedere il figlio quattordicenne, affidato alla madre, due pomeriggi alla settimana (dalle 16 alle 19.30) con intercessione dei servizi sociali del Comune di residenza.

«A prescindere dal merito della vicenda processuale tra i coniugi, che stabilirà il tribunale», spiegano gli avvocati Filippo Paolini e Adriano Patrizi, legali del papà, «ad oggi, l’ufficio dei servizi sociali del Comune, gestito in forma associata con altri Comuni tramite l’associazione Prometeo di Avezzano, cui è stato affidato il compito di permettere al nostro assistito di poter incontrare con regolarità il proprio figlio ed avviare nuovamente, in tal modo, un regolare rapporto di frequentazione con lo stesso, non si è attivato in alcun modo per esperire il compito assegnatogli dal giudice del tribunale di Avezzano. Nonostante l’uomo abbia dato disponibilità a iniziare gli incontri protetti con il figlio, e nonostante i successivi contatti telefonici intercorsi tra noi e l’assistente sociale incaricata a seguire e relazionare il tribunale sugli incontri stessi, al genitore viene impedito di frequentare il proprio figlio. L’uomo non è stato neanche contattato dall’ufficio incaricato dal tribunale a organizzare gli incontri protetti. La conversazione telefonica intercorsa lo scorso 24 gennaio con la dottoressa Barbara Di Vittorio, responsabile dell’ufficio dei servizi sociali dell’associazione Prometeo, nel corso della quale sono state esposte dalla stessa le difficoltà dell’associazione ad avviare il procedimento in considerazione dell’ingente mole di lavoro proveniente dal tribunale di Avezzano, fa comprendere l’assurdità dell’intera vicenda: a fronte di una decisione del giudice che ha regolamentato il diritto di visita in favore del padre, è inconcepibile come l’ufficio preposto a dare attuazione a tale decisione, si disinteressi totalmente di ciò che per loro, probabilmente, rappresenta una semplice pratica da mettere in fila ad altre a loro assegnate», concludono Paolini e Patrizi, «ma che per il soggetto direttamente interessato rappresenta un vero dramma».

Un dramma, appunto. «Finora ho atteso fiducioso l’evolversi della vicenda», racconta il genitore al Centro, «accettando in silenzio i tempi tecnici della giustizia che non sono certo noti per essere immediati, ma ora sono giunto al limite della sopportazione e sono disposto a tutto per porre fine a questa assurda vicenda che mi vede costretto a stare lontano da mio figlio a causa della condotta omissiva di un ufficio che, anziché attivarsi immediatamente per evitare che la mancata frequentazione tra me e mio figlio possa generare danni irreparabili riguardo al processo di crescita del bambino, si sta completamente disinteressando della delicata vicenda. Sono disperato. Chi spiegherà a mio figlio che non l’ho abbandonato? Voglio ritrovare quella serenità che ha da sempre caratterizzato il rapporto tra me e mio figlio nei suoi quattordici anni di vita».

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