Bearzi, per la grazia va sentita la parte offesa

Prima risposta del Quirinale all’istanza del presidente della Regione per l’ex preside condannato

L’AQUILA. Per la grazia vanno interpellate le persone offese. Lo ricorda – in una lettera inviata al presidente della Regione Luciano D’Alfonso, che invoca il provvedimento a favore del condannato Livio Bearzi – il consigliere del presidente della Repubblica per gli affari dell’amministrazione della giustizia, Ernesto Lupo.

Per la prima volta il Quirinale si esprime, sia pure attraverso una nota di un consigliere del capo dello Stato, su una vicenda che ha spaccato in due l’opinione pubblica, dopo la condanna a quattro anni inflitta in via definitiva all’ex preside del Convitto nazionale per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose. In quel crollo morirono tre minorenni: Luigi Cellini di Trasacco, Ondrey Nuozovsky e Marta Zelena, della Repubblica Ceca e rimasero feriti Mirko Colangelo e Luigi Cardarelli. Attualmente il friulano Bearzi è uscito dal carcere su disposizione del tribunale di sorveglianza. Gli è stata anche inflitta la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.

Il consigliere di Mattarella, dopo aver rilevato «con soddisfazione l’affidamento in prova ai servizi sociali» ricorda a D’Alfonso l’iter e le condizioni per la grazia. «A seguito della domanda presentata dalla moglie di Bearzi il 14 dicembre 2015, è in corso la prescritta istruttoria di competenza del ministero della Giustizia. In tale fase devono essere acquisiti i pareri del procuratore generale e del magistrato di sorveglianza e, riguardando la condanna reati contro la persona, secondo la prassi vanno anche interpellate le persone offese (feriti e parenti dei deceduti). Il capo dello Stato può adottare le sue determinazioni sulla domanda di grazia a seguito della conclusione della fase istruttoria e dopo che il ministro della Giustizia ha formulato il proprio avviso in merito alla sussistenza o meno dei presupposti per un atto di clemenza», conclude il consigliere del Quirinale.

Nelle motivazioni della condanna di Bearzi, tra le altre cose, si legge che lui e l’altro condannato Vincenzo Mazzotta, allora dirigente della Provincia «sono rimasti inerti di fronte alla gravità dello sciame sismico che colpiva L’Aquila già da mesi, e che era particolarmente insistente la notte del crollo del Convitto, mentre i due imputati, entrambi con posizione di garanzia, avrebbero dovuto dichiarare da tempo l’inagibilità della scuola, la cui instabilità era nota. O, almeno quella notte, organizzare l’evacuazione degli studenti».

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