Casa studente, condanne confermate

Restano inflitti per il crollo 4 anni di reclusione ai tre esecutori dei restauri del 2000 e trenta mesi al funzionario Adsu

L’AQUILA. Colpevoli anche in appello. La sentenza sul crollo della Casa dello studente non lascia scampo ai quattro imputati per i quali sono confermate le condanne per le morti di otto giovani rimasti sotto le macerie il 6 aprile 2009: quattro anni di carcere agli esecutori dei restauri fatti nel 2000: Berardino Pace, Tancredi Rossicone, Pietro Centofanti e due anni e mezzo a Pietro Sebastiani, funzionario Adsu che non avrebbe provveduto ai collaudi.

Una sentenza, letta intorno alle 17,30, accolta con la giusta compostezza e dignità dalle parti civili cui resta l’amarezza di una tragedia che si poteva evitare: tutto è avvenuto nel silenzio rotto solo dal singhiozzo di chi ha perso figli e nipoti; ma anche da imputati e difensori nonostante il peso della trepidante attesa della camera di consiglio durata tre ore.

Un verdetto che sostanzialmente non cambia quanto statuito in primo grado e invocato dal pg Alberto Sgambati nella sua requisitoria. L’unica differenza sostanziale sta nell’eliminazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici già inflitta a Pace, Rossicone e Centofanti per i reati di omicidio colposo plurimo, disastro colposo e lesioni.

Sono state confermate anche le provvisionali dei risarcimenti che sono esecutive. Ma, a tale proposito, le parti civili già da tempo hanno avviato una causa di risarcimento in sede civile contro la Regione Abruzzo e l’Adsu, azienda della stesso ente proprietario dell’immobile crollato e da loro individuati come responsabili civili. Nei prossimi giorni verrà chiesto ufficialmente al tribunale di fissare la prima udienza.

Secondo fonti legali, infatti, gli imputati non sarebbero in grado di pagare i risarcimenti perché nel frattempo avrebbero ceduto i loro beni.

E, come confermano gli stessi legali, una revocatoria della vendita di beni immobili costituirebbe un processo lungo e costoso.

Il collegio, presieduto dal giudice Luigi Catelli, ha fissato nel 15 luglio il termine entro il quale saranno depositate le motivazioni. Una data che interessa soprattutto le difese al fine di presentare ricorso in Cassazione nel non facile intento di ribaltare un verdetto che ha già dalla sua due sentenze conformi.

Il processo, celebrato in camera di consiglio, è stato giocato essenzialmente sull’incidenza dei restauri nel crollo dello stabile. Secondo gli avvocati dei progettisti, i legali Mercurio Galasso e Massimo Galasso, si è trattato di lavori poco significativi che di certo non hanno avuto nessun peso nella tragedia e hanno sostenuto che, comunque, il collasso era stato causato dal cedimento dei pilastri dell’ala Nord. Il tutto a fronte di un progetto, risalente al 1965, ritenuto carente da tutti i periti.

Gli avvocati di Sebastiani, Attilio Cecchini e Angelo Colagrande, hanno richiamato l’attenzione della Corte su un aspetto: nessuna norma imponeva il collaudo statico al loro assistito.

I giudici hanno respinto sia la richiesta di riaprire l’istruttoria sia l’ipotesi prospettata che il reato fosse prescritto, evenienze subito avversate da parti lese e Pg.

Nel corso del processo di primo grado erano usciti dal processo altri sospettati: Luca D’Innocenzo, presidente Adsu dell’epoca; Luca Valente, nel 2009 direttore Adsu; Massimiliano Andreassi e Carlo Giovani, tecnici autori di interventi minori.

Sempre in primo grado furono archiviate con il rito ordinario, le posizioni di Giorgio Gaudiano, che negli anni Ottanta acquisì la struttura da un privato per conto dell’Ateneo, e Walter Navarra, che svolse lavori secondari.

Fu la stessa accusa ad affermare che molte persone erano state indagate per errore.

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