<strong>I nuovi scenari. </strong>Il sindaco chiede interventi sull’economia, il presidente della Regione: un capo ci voleva

Chiodi e Cialente, nessun programma

I commissari non prendono impegni su tempi e modi della ricostruzione.

L’AQUILA. «Con Chiodi e Cialente siete in buone mani. Non come quel direttore di giornale che quando quel presidente della Repubblica bevve troppe grappe disse: “In che mani siamo”». Non è Berlusconi-show senza la barzelletta della sera. A far sorridere l’ampia platea stavolta è una storiella su un capo dello Stato e un giornalista compagno di bevute. Le «buone mani» sono quelle del presidente della Regione Gianni Chiodi, l’unico tra tutti i relatori a urlare nel microfono («Ci serviva un capo per fronteggiare l’emergenza») e del sindaco Massimo Cialente.

PROGRAMMI ZERO.
Ma nessuno dei due, presi più dalla voglia di ringraziare che da quella di fare discorsi d’insediamento, accenna a come e dove e quando si ricostruirà L’Aquila. Che è un po’ anche la missione che il governo ha affidato loro. Governo che continuerà ad affiancare gli enti locali. A erogare i soldi. A tagliare i nastri. A controllare. Così, negli interventi del commissario della ricostruzione e del vicecommissario vicario nessun accenno alla struttura di missione, il braccio operativo per stabilire cosa rifare e dove rifarlo. Nessun accenno a Gaetano Fontana designato capo di quella struttura ma non ancora nominato. I due commissari non prendono impegni sulle cose che faranno, rimandando ad altra data l’esame della situazione.

Del resto, al primo febbraio mancano ancora un paio di giorni. Ma i due parlano più da politici che da tecnici di nomina governativa. Ecco Chiodi: «Mai accaduto che un presidente del Consiglio sia venuto trenta volte», esordisce il presidente della giunta regionale arrotondando per eccesso le 26 visite del premier in città dopo il terremoto. «Berlusconi si è seduto ai nostri tavoli, a volte davvero modesti. E di questo lo ringraziamo e lo ringrazio anche per la fiducia che ha ritenuto di accordarmi. Qui all’Aquila si è vista la buona politica, non quella della propaganda ma quella del fare.

Quando hanno mandato Bertolaso chi di noi non ha pensato di aver subìto un esproprio: il commissariamento da parte dello Stato. E invece un capo ci voleva nell’emergenza: questi sono i risultati», s’infervora il capo della giunta che aspetta al freddo, per parecchi minuti, l’arrivo di Berlusconi all’inizio di un vialetto spalato di neve da poco. «Io non ho in mano il cerino ma la fiaccola: la situazione è complicata, difficilissima. Il rischio è che ci si può bruciare. Non ci sarà un uomo solo al comando, no. Ma un solo responsabile, quello sì. Servono due cose: buona organizzazione e collaboratori di qualità.

Di cosa ho bisogno come commissario? Di nulla, perché il governo ci darà soldi, uomini e mezzi. Lo so perché il presidente del Consiglio si chiama Silvio Berlusconi», e giù applausi a scena aperta da una platea che ribolle. Nessun faccia a faccia col premier, almeno stavolta. «È tornato subito a Roma, ci saranno altre occasioni», chiosa il neo-commissario.
Meno da comizio l’intervento di Cialente. «Orgogliosi di aver chiuso bene questo primo capitolo, l’emergenza. Ora tocca alla ricostruzione. Delle case, e poi a quella economica», due temi che stanno a cuore anche al sindaco di Acciano Americo Di Benedetto che assicura «rispetto» e «riconoscenza» a quel premier che si vanta di aver scelto «personalmente» le lenzuola da mettere nelle case provvisorie.