«Ciambellone e vita al Piano Case» 

Il racconto dell’allievo del corso di reportage del Centro di cinematografia

Quando Rosella mi racconta che in questo lembo di terra lei veniva tutti i sabati a raccogliere la cicoria, fa capolino un luccichio nei suoi occhi. Rosella, come tanti altri anziani, vive ormai da nove anni a Coppito 3, il Progetto Case costruito a seguito del terremoto del 6 aprile 2009. Lei abita con suo nipote in uno dei quattrocentocinquanta alloggi che compongono questo progetto Case abitato da milleduecentonovantaquattro persone delle quali seicentoundici sono uomini e le restanti seicentottantatré donne. Circa 1/3 sono anziani che passano la giornata dentro questi appartamenti oppure prendono il pullman molto presto (perché ne passa uno ogni ora e mezza) per andare a trascorrere la giornata al centro commerciale. Sebbene Coppito 3, con tutti i palazzi uguali, costruiti su un viale centrale e due ramificazioni a metà, sia uno dei più grandi progetti Case costruiti dopo il terremoto, a vederlo non mi sembra per nulla accogliente. Le case sono tutte uguali, la gente che le abita cerca di personalizzarle con qualche fiore, delle grafiche colorate sulle finestre, qualche ghirlanda sulla porta. Questo è il segno di vita e umanità più caratteristico.
Rosella abita al terzo piano della piastra numero uno. Corporatura minuta, leggermente ingobbita, la incontro alla tensostruttura di Coppito 3 che adesso è diventata la chiesa dove ogni domenica don Francesco viene a celebrare la messa delle 9,30. «È l’unico momento di aggregazione tra di noi», mi racconta Rosella. «Non ci andavo più da molti anni, la guardavo solo in televisione, ma adesso non manco mai». C’è un velo di tristezza e rassegnazione nel racconto di Rosella. Fin da piccola faceva la sarta. Aveva una piccola “botteguccia” a Coppito, poi è andata in pensione, ma non ha smesso di lavorare. «Passo le mie giornate a cucire tutto per i miei nipoti: gli ho fatto un sacco di berretti di lana e scarpine. Quando qualcuno qui a Coppito 3 ha bisogno di cucire qualcosa io ci sono sempre, almeno mi tengo affaccendata», continua a raccontarmi. Quando parla dei nipoti si illumina. Per loro ogni due giorni si fa quattro chilometri a piedi. «Sai, quando mi vengono a trovare non posso non dargli le figurine. Per cui devo andarle a prendere in edicola».
L’edicola più vicina si trova a due chilometri da casa sua, nel paese di Coppito. Per andarci Rosella deve fare il pezzo di strada provinciale che collega il Progetto Case a Coppito. «Io faccio anche un po’ di movimento, mi fa bene, ma non posso ogni volta rischiare la vita», mi dice. Mi racconta che questi due chilometri, che diventano quattro dovendo fare avanti e indietro, deve percorrerli praticamente sulla strada perché non esiste un marciapiede che colleghi il Progetto Case al centro di Coppito. Indossato il suo scialle tutto ricamato, Rosella mi porta a vedere: «Deve scapparci il morto per farlo fare? Le macchine vanno a tutta velocità e io qui rischio ogni volta. Alla sera poi non ne parliamo, in inverno dopo le quattro non posso andare. Il marciapiede mi collegherebbe anche alla navetta per l’ospedale, così non devo dipendere sempre dai miei figli, che hanno le loro cose e lavorano». Per Rosella il marciapiede è l’esigenza primaria, lo ripete allo sfinimento.
Mentre l’accompagno verso casa mi racconta che lei tutti i pomeriggi apre le porte ai suoi vicini di pianerottolo, «per farsi compagnia a vicenda». Cucinano spesso assieme il suo ciambellone: «La ricetta ce l’ha tutta Coppito. Io non sono invidiosa, lo faccia chi vuole, sai perché? Mia nipote mi dice sempre che buono come il mio non lo può fare nessuno, perché io ci metto il cuore!». Rosella ride, con un sorriso davvero bello, mentre mi dice questo e mi saluta. Ha proprio ragione sua nipote: metterci il cuore fa la differenza.
*allievo I anno
corso di Reportage
sede Abruzzo
Centro Sperimentale
di Cinematografia
©RIPRODUZIONE RISERVATA