Cinghiali, il Parco difende il suo piano

Il presidente Diaconale: gli esposti fondati sul nulla, il contenimento resta la scelta più opportuna

L’AQUILA. «Le gabbie di cattura, il processo partecipativo e la filiera del cinghiale. A chi giova bloccare tutto ciò?». Il Parco nazionale Gran Sasso-Laga ha tenuto ieri ad Assergi una conferenza stampa per riaffermare la legittimità e il valore del proprio piano di contenimento del cinghiale, liberare il campo dalle semplicistiche accuse di illegittimità del processo e ribadire l’impegno a favorire la coesistenza tra fauna selvatica e attività antropiche.

«Operiamo con senso di responsabilità», ha dichiarato il presidente Arturo Diaconale, «nei confronti del territorio e delle popolazioni. Le esperienze del passato ci insegnano che tale operato è il più opportuno e proficuo e mi auguro lo stesso senso di responsabilità possa essere dimostrato anche da quanti non considerano le conseguenze dei propri esposti fondati sul nulla». Presenti il direttore Marcello Maranella, il responsabile del servizio scientifico Federico Striglioni, il veterinario dell’ente Umberto Di Nicola e quanti al Parco sono impegnati nel campo, con l’ausilio di materiali foto e video sono state illustrate le procedure, le tecniche e gli strumenti utilizzati per la cattura degli animali. Soprattutto, sono state riaffermate le ragioni di una pratica che dal 1999 a oggi ha consentito di catturare 9000 cinghiali nelle aree critiche dell’area protetta. Intervento che, accanto ad azioni di prevenzione, come la distribuzione e la realizzazione di recinzioni per le colture, ha determinato una sensibile diminuzione dei danni e quindi degli indennizzi erogati.

«L’opzione dei recinti di cattura resta l’unica perseguibile», ha sottolineato Maranella, «per efficacia, economicità e sicurezza e, non ultimo, per il beneficio economico che può derivare ai territori dall’avvio di una filiera legata alla lavorazione e alla commercializzazione delle carni di cinghiale».

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