Collemaggio, la proposta di Antonini

Il vescovo (nunzio a Belgrado e studioso di architettura) indica una possibile soluzione per l’area del transetto

L’AQUILA. Pubblichiamo la lettera che il vescovo monsignor Orlando Antonini, nunzio apostolico a Belgrado, originario di Villa Sant’Angelo e studioso di architettura religiosa, ha inviato nei giorni scorsi alla Soprintendente Alessandra Vittorini a proposito dei lavori di restauro della Basilica di Collemaggio e sulla ricostruzione o meno del transetto.

«Signor Soprintendente,con vivissima soddisfazione per la notizia in sé, ho preso visione oggi, da Internet, del video sul piano di interventi di restauro della Basilica di Santa Maria di Collemaggio illustrato in Comune e generosamente finanziato dall’Eni. Mi complimento con codesta Soprintendenza e, attraverso essa, con la Direzione Regionale, per i recuperi di edifici monumentali finora effettuati, la cui formosità fa immaginare la bellezza della nostra Città una volta terminata la ricostruzione. Per il caso in specie di Collemaggio, a scanso di equivoci inizio col complimentarmi per la qualità del lavoro di riprogettazione recuperativa generale della Basilica svolto dai tecnici, in una felice alleanza tra pubblica amministrazione ed università che fa ben sperare per il prossimo futuro. Devo solo manifestare perplessità a proposito della soluzione formale data per la ricostruzione del transetto, che appare una scelta di comodo e ripiego tale che, se realizzata, a mio giudizio impoverirà non poco il monumento dal punto di vista tanto architettonico-artistico quanto tipologico e identitario. All’esterno, l’ulteriore attenuazione, sulle coperture longitudinali, dell’elemento traverso del transetto rende la Basilica una massa volumetrica esageratamente orizzontale – prima dei lavori del 1970 all’incrocio dei bracci emergeva almeno il tiburio ottagonale inviluppante la cupola. All’interno, il transetto ripensato a due volticelle in cartongesso nude e bianche, fiancheggianti un tiburio centrale sotto tetto ligneo a due falde al posto della calotta cupolare crollata, risulta un ibrido montaggio di moduli che, mentre tenta di conservare memoria della configurazione abbattuta dal sisma rompe l’unità del transetto senza costituire quella reinvenzione all’altezza dell’importanza artistica del monumento e degna di quanto i nostri Maggiori seppero fare in ciascuna delle sue quattro ricostruzioni post-sismiche a cui loro toccò confrontarsi. Comprendo perfettamente che la soluzione prescelta – voglio comunque sperare non si tratti già di progetto esecutivo – permettendo l’applicazione di còrdoli tiranti diretti, tra il blocco delle navate e quello absidale, dà maggiori garanzie per il miglioramento sismico. Ma, come sempre nella storia, sta appunto alla genialità degli ingegneri/architetti di ideare, per i casi difficili, tecniche costruttive appropriate che assicurino, al contempo, e la saldezza sismica e la facies più esteticamente riuscita della legatura di due corpi edilizi spingenti – il corpo delle navi e quello absidale – separati dal vuoto di un transetto continuo. Quanto avvincente e stimolante sarebbe, per i maestri della nostra tecnologica epoca, di misurarsi coi maestri del passato ed anzi superarli nell’escogitare quel dispositivo antisismico che riesca finalmente a evitare il crollo della stessa identica parte di fabbrica verificatosi in tutti e singoli i terremoti distruttori del 1315, 1349, 1461, 1703 e 2009! Nel progetto rilevo un altro difetto, forse sfuggito in quanto dal «render» non si evidenziava bene: lo pseudo-tiburio è … privo di finestre. Non a caso, la cupola crollata aveva quattro oblò, attraverso cui la luce entrava abbondantemente. Già il Moretti, una volta deciso bene o male di «ripristinare» l’organismo pre-seicentesco, che aveva quattro o cinque finestroni ovali per lato sopra le fila di arcate, aveva omesso di applicare finestre sulle pareti emergenti della navata centrale rendendo buio lo spazio alto della medesima: era appunto la luce affluente dai predetti ovali della calotta ad attenuarne l’oscurità. Adesso se si realizzasse quanto vedo nel progetto, per i circa lunghissimi 100 metri che vi sono dalla porta d’ingresso all’abside maggiore tutto lo spazio alto centrale del tempio risulterà al buio! È vero che anche nella proposta espressa nel mio «L’Aquila nuova negli itinerari del Nunzio» non sono previste fonti di illuminazione all’intersezione; ma trattandosi di transetto continuo, la luce dei finestroni laterali alle testate illuminerebbe bene il centro dell’incrocio senza essere bloccata, come lo è nella soluzione progettuale attuale, dai diaframmi murari delle volticelle. In breve. O si ricostruiva «com’era» questa zona, con tutti i suoi ricchi stucchi come si è potuto fare per il Teatro della Fenice a Venezia, oppure, se la spesa non valeva l’impresa vista la totale perdita delle decorazioni e l’impossibilità a riprodurle, ci si sarebbe potuto ispirare almeno alla tipologia architettonica caratterizzante la nostra architettura chiesastica: il transetto alto e continuo, cioè, ancor esistente in Santa Giusta, San Pietro di Coppito e San Nicola d’Anza, e documentato chiaramente, per la Cattedrale e Santa Giusta, sul noto Gonfalone civico 1579 del Cardone e, per Collemaggio, nella pianta prospettica 1622 dell’Antonelli. Come si può notare a pagina 90 del citato volume, anche la mia sommessa proposta reca zone nude e neutre, ma non sovverte l’unità spaziale della nave traversa, non è aliena dall’identità architettonica aquilana e in più accompagna opportunamente le cappelle e le opere barocche ivi rimaste col riutilizzo di un manufatto decorativo e coloristico autentico quale la sontuosa plastica soffittatura 1669 della Collemaggio barocca (spero esista ancora). Con il che si rioffrirebbe alla fruizione uno spazio molto più nobile e ricco: lo meritano ampiamente l’eccezionale prestigiosa importanza della Basilica e la munifica disponibilità dell’Eni, il quale ha tutti i diritti nell’attendersi una ricaduta d’immagine altrettanto importante e prestigiosa. Noti inoltre che la mia proposta, comportando un lieve rialzo dell’arco trionfale rispetto al settecentesco crollato, permetterebbe anche il recupero di particolari accorgimenti simbolici tipici della Collemaggio pre-barocca come i giochi solari del 15 agosto, Festa della Titolare del tempio, illustrati più volte da autori noti come Maria Grazia Lopardi e che di recente, assieme ad altri, hanno attirato altro speciale interesse, a livello nazionale, attorno allo splendido monumento aquilano. Infine, il maggior risparmio finanziario che la proposta in parola mi sembra apporti consentirebbe di procedere anche alla valorizzazione ed apertura al pubblico delle fondazioni semiottagonali e delle preesistenze della Basilica celestina riscoperte (anche dietro mia segnalazione alla Soprintendenza) nel 2001 a sinistra del vano campanario attuale, nonché alla ripresa delle intriganti ricerche archeologiche sotto il pavimento della chiesa, per il che si dispone già dei significativi risultati della campagna condotta sotto la direzione del prof. Fabio Redi e da lui puntualmente illustrati in un volume del 2006. Pregandola dunque di far modificare l’attuale progetto ricostruttivo del transetto, cordialmente La saluto».