Crisi, oltre 10mila persone sono rimaste senza lavoro

Niente occupazione per almeno un terzo dei residenti tra i 18 e i 65 anni Verrocchi: non si tratta solo di recessione ma di depressione sociale

SULMONA. Un terzo dei residenti in età lavorativa non ha un impiego. I nuovi dati della sede sulmonese del Centro per l’impiego aggiornati a ieri raccontano quella che non è più una seppur grave crisi occupazionale, ma che è diventata ormai una depressione economica e sociale. Rispetto ai 5mila posti persi secondo l’ultima statistica, il dato è infatti più che raddoppiato. Su una popolazione residente di 53mila abitanti (sparsi fra i 24 Comuni delle valli Peligna, Subequana e del Sagittario) 10mila e 527 perone sono senza un lavoro.

Calcolando che la popolazione attiva (dai 15 ai 64 anni) non supera il numero di 35 e 510, vuol dire che il 30 per cento dei residenti in età lavorativa ha perso il lavoro, o non lo hai mai avuto perché non riesce a trovarlo.

I DATI. Gli iscritti alle liste di disoccupazione (chi ha perso il lavoro) e “inoccupazione” (chi non lo ha mai lavorato) sono 9mila e 706; quelli agli elenchi di mobilità (cioè usciti dal circuito produttivo) sono 821, con l’87% di loro (ben 715) destinata a restare senza paracadute e possibilità di aggancio alla pensione. In totale, quindi, i disoccupati, inoccupati e in mobilità sono 10mila e 527. Ma al di là di questo, quello che preoccupa maggiormente è che i disoccupati dai 35 ai 65 anni sono più di 5mila (ben 5mila 652).

O meglio loro rappresentano più della metà del totale dei disoccupati. Quindi, contraddicendo spaventosamente statistiche e parametri nazionali e sovvertendo comuni credenze, qui chi ha perso il lavoro non è solo in giovane età, anzi. Con tutte le difficoltà poi connesse per rientrare nel mercato produttivo.

I NUOVI POVERI.Calando il dato sulla realtà sociale e quotidiana, viene fuori che sono moltissime le famiglie in sofferenza: circa duemila quelle assistite dalla Caritas, la cui mensa ha servito 20mila pasti caldi nell’ultimo anno. Coppie giovani e meno giovani hanno creato le loro famiglie sulla scia dell’entusiasmo del posto fisso in fabbrica, poi tramutatosi in cassa integrazione e infine nel baratro del licenziamento. È, infatti, questa la parabola discendente delle principali crisi aziendali del territorio.

LE AZIENDE CHIUSE. Dietro quell’esercito di disoccupati, infatti, si nascondono i volti dei lavoratori Sitindustrie, Finmek, Campari, Coca-Cola, Saba e Foceit. Solo per citare alcune delle ultime fabbriche che hanno chiuso. Chiusure che hanno dato il via al regime di dipendenza dagli ammortizzatori sociali, molti dei quali in scadenza.

IL SOMMERSO. Ai dati ufficiali, in questa fase storica di precarietà imperante e flessibilità capestro, vanno aggiunti i numeri fantasma del lavoro nero. Ultima frontiera della fame di occupazione in un territorio che ha perso 5mila posti di lavoro solo negli ultimi 5 anni e dove le persone sono disposte a tutto pur di lavorare. Anche a rinunciare ai propri diritti e alla sicurezza.

L'ALLARME DELLA CGIL. «Qui non si può parlare più di semplice recessione ma di depressione economica e sociale», denuncia Damiano Verrocchi della segreteria provinciale della Cgil, «la situazione è talmente grave che non si può più aspettare».

Intanto, i Fondi per le aree sottoutilizzate che la Regione ha destinato all'occupazione e al tessuto produttivo della Valle Peligna sono quasi 17 milioni di euro. La loro assegnazione, che doveva avvenire entro gennaio, è però ferma.

Federica Pantano

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