Dal 31 marzo aquilani costretti a cambiare le loro abitudini 

Mentre la Commissione Grandi Rischi si riunisce a Palazzo Silone per poi rassicurare la città in molti cominciano ad avere veramente paura che da un momento all’altro succeda la catastrofe

L’AQUILA. Il primo aprile del 2009 il Centro esce dando al terremoto uno spazio che non aveva mai dato fino ad allora. Quelle scosse non potevano essere più né ignorate, né considerate nella norma. Bisognava cercare di dare una informazione equilibrata sì, ma il più possibile completa.
ACCADDE IL 31 MARZO. Quello che accadde il 31 marzo 2009 tra le 17.30 e le 18.30 circa a Palazzo Silone durante la riunione della Commissione Grandi Rischi, è arcinoto: le dichiarazioni rassicuranti fatte, prima dell'incontro, dal vicecapo della Protezione civile Bernardo De Bernardinis, la discussione tra esperti che dura un'oretta in una stanza dove c'è chi entra e chi esce in continuazione, la fretta di chiudere e di fare una veloce conferenza stampa per dire due cose buttate lì (riportate pochi minuti dopo dalle agenzie) e comunicare alla Protezione civile nazionale che era tutto a posto, che l'obiettivo di mettere a tacere i profeti di sventura (Giuliani, ndr) era stato raggiunto (cosa confermata da intercettazioni rese note mesi dopo) e che all'Aquila era tornata la calma. Ricordo ancora con nitidezza l'audioconferenza pomeridiana del 31 marzo 2009 tra la redazione dell'Aquila, la direzione e l'ufficio centrale del giornale.
CITTÀ NEL PANICO. Le scosse del giorno prima, quelle appena “sentite”, la riunione della Grandi Rischi prevista nel tardo pomeriggio, le scuole chiuse dal sindaco, una città ormai nel panico: tutti elementi che il quotidiano più letto e diffuso non poteva mettere sotto il tappeto. Quel giorno intanto il sindaco dell'Aquila, con il capoluogo in fibrillazione, decise di scaricare la tensione andando a Roma a Palazzo Giustiniani dove insieme ad altri vip cittadini consegnò il premio Socrates Parresiastes all'ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi uomo delle istituzioni e statista lontano mille miglia dai pettegolezzi e dagli sberleffi celebrati nella festa tutta aquilana di Sant'Agnese a cui il premio era legato. Ciampi comunque stette al gioco e la cerimonia si svolse in un clima molto cordiale e di empatia come dimostrano le foto diffuse subito dopo. Il caporedattore del Centro Roberto Marino, d'intesa con il direttore Luigi Vicinanza, dopo aver deciso di dedicare le prime tre pagine del giornale ai “fatti” dell'Aquila mi chiese di scrivere un pezzo cercando di spiegare, a chi aquilano non era, che “aria” si respirava in città a causa delle scosse ripetute.
ARTICOLO INDELEBILE. Quell'articolo, pubblicato sul Centro del 1° aprile, è rimasto indelebile in un angolo del mio cuore. Fu forse l'ultima cosa scritta da me che lessero i miei figli quando nella pausa pranzo dedicai loro quella oretta o poco più che il lavoro frenetico mi concedeva. E ricordo che mia figlia Maria Paola commentò: papà, come al solito hai esagerato. Poi si alzò per andare nella sua cameretta e come se nulla fosse, disse, rivolta a me e alla mamma: comunque sappiate che qualsiasi cosa dovesse accadere io vi voglio bene. Questo è il testo di quell'articolo: “Alzi la mano quell’aquilano che da 48 ore non ha cambiato un po’ le sue abitudini di vita. Nulla di drammatico, per carità, ma è inutile negare quella sensazione di disagio, quel rigirarsi nel letto cercando di prendere sonno e, con un piede fuori dalle coperte, pronto a scappare non si sa bene dove. La forte scossa di lunedì pomeriggio ha creato in tutti – anche in quelli che fino a pochi minuti prima dicevano di non temere il terremoto – un senso di precarietà che ha risvegliato paure ataviche in una terra da sempre ballerina. Nella notte fra lunedì e martedì si sono viste scene di panico che hanno coinvolto giovani e anziani. Chi ha potuto ha dormito fuori. Nei piazzali di alcuni supermercati si sono materializzati veri e propri accampamenti. C’è chi ha provato a dormire in macchina, chi ha invocato l’arrivo della Protezione civile per un minimo di conforto. Altri, la maggioranza, hanno preferito restare, nonostante tutto, in casa e col cellulare in mano: «Ma tu che pensi, finirà oppure arriverà la scossa forte?»: una domanda ricorrente con sguardo fisso al lampadario: si muove o non si muove? E poi a frugare negli angoli per cercare qualche crepa. E se cade tutto dove vado, meglio sotto il tavolo o sotto la porta? Uno stillicidio segnato ogni ora da una nuova scossa con la paura che in pochi secondi possa svanire il lavoro di una vita (e magari la vita stessa). Poi, sfiniti, verso mezzanotte si va un po' trepidanti a letto. Ma ecco che la scossa ti sveglia di nuovo. Le luci si riaccendono: l'hai sentito? Bella botta – si fa per dire – anche questa. Ma quando finisce?».
BIVACCHI E FALÓ. Il resto della notte passa nel dormiveglia con l'incubo di vedersi crollare tutto addosso. Per gli studenti universitari la notte del terremoto è diventata un po' una notte bianca. Per paura o semplicemente per avere una scusa per tirare tardi , centinaia di ragazzi hanno affollato le piazze principali del centro storico. Chitarra, fìaschetta di vino, zainetto con due felpe e due paia di calzini (perché non si sa mai), in molti hanno occupato la parte alta di piazza Duomo. «Le nostre case sono vecchie» spiega qualcuno «nessuno di noi se la sentiva di restare a casa dopo le scosse. E poi qui si sta bene, non fa neanche freddo. Il clima da bivacco è quello giusto e ci si può sedere a terra attorno a un paio di chitarre senza neanche bisogno di falò». I ragazzi sono andati avanti per ore a suon di Ligabue, Battisti, Vasco Rossi. C'è chi per esorcizzare gli eventi sismici ha cantato dieci volte di fila la canzone “Terremoto” del gruppo fiorentino Litfiba. Qualcun altro, per avere qualche bicchiere in più a disposizione ha anche organizzato un’apposita raccolta fondi, raccogliendo spiccioli con la custodia di una chitarra. Gli altri sono andati in giro per i locali, facendo lievitare gli incassi di un lunedì sera, altrimenti “morto”, alla faccia della crisi e del terremoto. Certo, non tutti l’hanno presa a ridere. I vigili del fuoco e gli altri volontari della Protezione civile si sono trovati a rispondere a domande di ogni tipo».
LE RASSICURAZIONI. «Quando potremo tornare a casa?», ha chiesto una ragazza spaventata e convinta di essere nel bel mezzo di uno sfollamento». Le tre pagine del numero 90 (anno XXIV) del Centro erano annunciate sulla “copertina” con il titolo: “L'Aquila, i giorni della paura”. All'interno era stato fatto un lavoro certosino “cucinato”, come si dice in termine tecnico, prima della riunione della Grandi Rischi. Eravamo convinti che il summit sarebbe andato avanti a lungo tanto che dissi al collega che doveva seguire l'annunciata conferenza stampa prevista al termine dell'incontro, di non avere fretta e di andare intorno alle 18,30-19. Ma in quello spazio orario la riunione era già finita e in “rete” c'erano già le notizie di agenzia che ne davano gli esiti. Rassicuranti. E quello fu il messaggio che passò, al di là di ciò che fu detto o non fu detto da questo o quell'esperto.
LE 10 REGOLE. Oltre alla tabella con il dettaglio di tutte le scosse più forti che c'erano state da metà dicembre 2008 a poche ore prima, quel giorno il Centro pubblicò “le 10 regole contro il terremoto”, consigli molto semplici per mettersi al sicuro anche se si stava dentro casa. In un altro riquadro venivano indicate le magnitudo della scala Richter da 1.9 a 9 e a fianco a ognuna c'era la descrizione delle potenziali conseguenze. In una intervista in fondo alla pagina il direttore del Dipartimento di Salute mentale della Asl Vittorio Sconci spiegava che tipo di atteggiamento bisognava avere con i bambini. Secondo Sconci i genitori non dovevano farsi prendere dal panico e i piccoli andavano comunque tranquillizzati. A quelli più grandicelli bisognava spiegare quello che stava accadendo per prepararli, senza spaventarli. Tra le curiosità della cronaca del Centro di quel 1° aprile anche la notizia che in città c'era chi scommetteva sulla magnitudo. Nella terza pagina un ampio articolo a firma dello scrittore abruzzese Giovanni D'Alessandro da titolo: “Terremoto, una parola che si cerca di non pronunciare mai. L'Aquila, Sulmona e Avezzano: le zone interne hanno subìto lutti e distruzioni».
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