«Dall’emergenza alla città rinata» 

Il racconto dello scrittore Galeota: una ricostruzione dai molti aspetti positivi

All’indomani del devastante e luttuoso terremoto del 6 aprile 2009 avevo sperato che la ricostruzione dell’Aquila e degli altri Comuni del cratere potesse avvenire entro una decina di anni. Ero stato troppo ottimista. Il miglioramento statico delle case da ricostruire, opportunamente disposto per legge subito dopo il sisma, e l’adeguamento delle stesse alla normativa vigente, in ragione della (tardiva) attribuzione di tutto il territorio dell’Aquilano alle classi 1 e 2 di pericolosità sismica, rendevano obbligatorio l’impiego di materiali e di tecniche costruttive innovativi, più idonei a fronteggiare un evento simico potenzialmente distruttivo. Bisognava perciò iniziare i lavori di recupero delle abitazioni con il rimuovere le macerie, selezionarle e portarle in siti appositamente attrezzati per il deposito temporaneo delle stesse. Il governo Berlusconi aveva immediatamente disposto di affidare al Dipartimento della Protezione civile l’incarico di predisporre l’accoglienza dei circa 80.000 sfollati negli alberghi della costa abruzzese e nelle tendopoli. La Protezione civile aveva provveduto a far censire gli edifici danneggiati al fine di accertarne l’agibilità o meno, nonché a far mettere in sicurezza gli edifici a rischio di crollo siti in prossimità di spazi pubblici. Era seguita la sollecita costruzione di 3.500 Moduli abitativi provvisori in legno (Map) e di complessi abitativi antisismici in cemento armato e forniti di elementi in acciaio posti sulle fondamenta in grado di assorbire e dissipare la forza distruttiva di un violento terremoto distribuiti su 19 aree, tra loro distanti e slegati e in grado di ospitare 4.500 nuclei familiari (Piano Case, risultato eccessivamente costoso e in più casi con rimarcate carenze costruttive).
I sindaci del cratere hanno messo in atto una rapida ricostruzione delle abitazioni periferiche, quasi tutte classificate A o B o C in base ai danni subiti. Nel primo anno sono stati spesi 1,5 miliardi e nei successivi due anni 1,4 per continuare a far fronte alle varie necessità create o aggravate dal sisma, mentre altre somme importanti venivano spese per la ricostruzione delle periferie: all’inizio del quarto anno non era stata stanziata alcuna somma aggiuntiva sul bilancio dello Stato finalizzata alla ricostruzione dei centri storici devastati. Qui c’erano solo edifici classificati E (crollati o con danni strutturali e perciò inagibili) e D (con pochi danni ma inagibili ché confinanti con quelli E). I mancati finanziamenti scontavano anche una difficilissima situazione economica che continuava a interessare l’Italia.
Finalmente, nel bilancio di previsione dello Stato, governo Renzi, erano stati stanziati ulteriori 6 miliardi destinati alla ricostruzione di edifici privati e pubblici posti nei centri storici. Con l’arrivo dei nuovi stanziamenti c’è stato un rapido fiorire di gru a svettare sull’Aquila, mentre nelle frazioni e negli altri Comuni del cratere la ricostruzione dei centri storici è stentata a partire, salvo qualche rara eccezione. Pur tra notevoli difficoltà tecniche e organizzative la ricostruzione del centro storico dell’Aquila, già tra i più belli e importanti d’Italia, ha finora evidenziato soprattutto aspetti positivi, quali l’armonioso accostamento cromatico degli edifici ricostruiti, in attuazione di un Piano colore che ha funzionato alla grande; l’assoluta correttezza degli amministratori comunali nel gestire una massa di finanziamenti che avrebbero potuto indurre a commettere una qualche azione illecita a proprio vantaggio personale, salvo un episodio illecito – prontamente rilevato e perseguito dall’occhiuta magistratura – avvenuto nella fase iniziale della ricostruzione, la valorizzazione di preesistenze architettoniche, di affreschi e reperti archeologici riscoperti nel corso della ricostruzione, la valorizzazione perseguita con tenacia dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio e assecondata dagli altri soggetti decisori; l’appassionata partecipazione popolare alla ricostruzione della città mobilitata dalle numerose associazioni sorte all’indomani del terremoto. Rimane da ridare slancio alle attività produttive nel centro storico al fine di rivitalizzarlo, di farlo tornare a una normalità che stenta a farsi strada. Di certo, non aiuta l’atteggiamento di chi cerca di speculare eccessivamente nel dare in affitto i propri locali, resi più sicuri e più funzionali dai tanti soldi spesi dallo Stato: una situazione ostativa alla ripresa economica e al ritorno dei cittadini residenti di tale importanza da richiedere una regolamentazione calmieratrice. Infine, è tempo di riflettere se sia opportuno e producente tornare all’arroccamento, alla chiusura della città nei confronti delle proprie frazioni e dei centri minori già protagonisti della fondazione dell’Aquila e componenti essenziali del sinergico Comitato Aquilano.
*scrittore
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