Dodici casi di Sla all’anno: tra i malati anche ex atleti

La clinica neurologica dell’ospedale aquilano segue i pazienti fin dalla diagnosi Secondo i dati la più colpita è la fascia d’età compresa tra i 50 e i 65 anni

L’AQUILA. Tra i 10 e i 12 nuovi casi all’anno di sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Questo l’impatto della grave malattia “misurato” dalla Clinica neurologica dell’ospedale “San Salvatore” dell’Aquila, sul fronte nella lotta contro la patologia. Un dato superiore alla media nazionale, che si attesta su 5-6 casi ogni 100mila abitanti ma che è “gonfiato” da una percentuale di utenti proveniente da altre province, soprattutto Teramo e regioni vicine come il Lazio.

«L’attrazione dell’Aquila su altri territori viene da lontano», si legge in una nota dell’Asl, «e si giustifica con la grande tradizione aquilana della neurologia nel corso dei decenni precedenti. Col tempo si è strutturato all’Aquila un vero “percorso” assistenziale, dalla diagnosi alle fasi terminali. Il malato di Sla, infatti, va seguito costantemente e assistito a domicilio, servizio che l’Asl svolge anche utilizzando strumenti di diagnosi ad hoc, come consulenza specialistica e la radiologia domiciliare. In alcuni casi, tuttavia, è necessario il ricovero (circa 15 l’anno), quando sopravvengono complicanze. Oltre alla clinica neurologica, che prende in carico il malato dal momento della diagnosi e lo segue lungo tutto il percorso terapeutico, sul soggetto con Sla intervengono altri servizi dell’ospedale che, tutti insieme, lavorano in sinergia. Chi è affetto da Sla, infatti, ha bisogno della neurofisiopatologia (per elettromiografie e altro), della pneumologia (per fronteggiare i problemi respiratori) dell’endoscopia (per assicurare l’alimentazione tramite una sonda, quando sopraggiungono problemi di deglutizione), della diagnostica per immagini per la diagnosi differenziale, utilizzando le nuove tecniche e, infine, della riabilitazione, cardine del trattamento a lungo termine».

La Sla colpisce a diverse età: persone di 40 anni ma anche di 87 ma la fascia presa di maggiormente di mira dalla malattia è quella tra i 50 e i 65 anni. «Secondo studi, che però non hanno mai avuto conferme», prosegue la nota Asl, «gli atleti di alcune discipline correrebbero rischi maggiori, secondo alcuni a causa del doping, ma più probabilmente a causa di traumi ripetuti subiti nel corso dell’attività agonistica che manifesterebbero i loro effetti negli anni successivi alla cessazione dell’attività sportiva. Tra i malati anche ex rugbisti».

«Secondo alcuni studi», dichiara il professore Carmine Marini, direttore della Clinica neurologica, «i microtraumi ripetuti, legati all’attività agonistica, causerebbero danni al midollo provocandone microlesioni. Al momento la medicina non ha ancora suffragato con riscontri concreti queste teorie e le cause della malattia restano ignote. Le attuali terapie riescono solo a rallentarne il decorso».

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