Due ore di poesia e comicitàBenigni «riempie» il carcere

La lettura di Dante ai reclusi: «Abbraccio uno di voi a caso». E poi si butta sul Guardasigilli

SULMONA. Due ore tra battute e poesia, Dante e Andreotti, Mastella e Grillo. Due ore uniche, indimenticabili quelle regalate ieri da Roberto Benigni alla storia del carcere di Sulmona. Per i detenuti un pomeriggio di grandi emozioni.
«Ciao, scusate il ritardo ma, sapete, dopo le polemiche sui voli di Stato, oggi il ministro Mastella ha deciso di venire da Maddaloni in bici. Quella fregata a Prodi».
Già nell'incipit, che scatena il primo di una serie incredibile di applausi, il grande comico toscano lascia capire chiaramente quale sarà il bersaglio principale delle sue battute. E un attimo dopo è ancor più esilarante. «Ciao, ciao a tutti», dice rivolgendosi ai detenuti, «sono davvero felice di stare qui. Voglio abbracciare uno di voi per abbracciarvi tutti», e fa per tuffarsi verso la sala gremita ma poi devia repentinamente verso il ministro della giustizia...
Un attimo dopo Benigni è davvero in mezzo ai detenuti, regala loro alcuni secondi di battute e pacche in un clima di irripetibile entusiasmo. Un'atmosfera tanto inusuale quanto coinvolgente quella creata dall'irresistibile verve del comico, che regala anche a Mastella l'opportunità più unica che rara per un ministro della Giustizia di incassare convinti e ripetuti applausi da detenuti in regime di massima sicurezza, tra l'altro autori della scenografia dello spettacolo. Applausi divenuti ovazione quando il ministro paragona Benigni a Maradona. In tema di unicità, certo neanche il prologo allo spettacolo è da meno. Una fila di auto scarica davanti al supercarcere una folla impressionante di cronisti, politici, amministratori locali, autorità varie e relativi parenti. «Mai vista tanta gente farsi raccomandare per entrare in carcere», commenta sorridendo uno dei responsabili della vigilanza, alle prese con decine di fax giunti da tutte le sedi istituzionali e di partito d'Abruzzo. Con i sottosegretari Manconi e Lolli, ci sono parlamentari (Tenaglia, Pelino, D'Elpidio), assessori e consiglieri regionali e provinciali, da Sruor alla Pezzopane, da Liberato Aceto a Teresa Nannarone, da Licio Di Biase a Di Stanislao, e poi una piccola folla di amministratori locali, forze dell'ordine, forestale, esercito. Insomma, per quanto insolita, una passerella alla quale nessuno vuole rinunciare. Anche a prezzo di qualche imbarazzante «forzatura» nel rigido cerimoniale disposto dal direttore del carcere, Sergio Romice, che è visibilmente emozionato quando sale sul palco per introdurre il mattatore e definisce l'evento un «privilegio miracoloso» per la struttura sulmonese.


DANTE E ANDREOTTI. E, dalle 18.06, quasi cento minuti di irresistibile «tuttobenigni». Un saltellare continuo dalla politica alla cronaca, alla poesia, passando dalle sofferenze delle anime dell'inferno di Dante a quelle di Prodi con i suoi senatori a vita «che prega la madonnina ogni mattina di conservargli in buona salute per almeno altri 3 anni e mezzo», ricordando l'imbarazzo provato quando s'è trovato Andreotti in prima fila allo spettacolo. «Ragazzi, che sofferenza. A ogni frase faceva cenni con la testa, come a dire "sì è così, io c'ero". E sì, perché c'è chi dice che ai tempi di Dante quello facesse già parte del consiglio degli anziani di Firenze».
GRILLO E BERLUSCONI. E poi, via di nuovo, dal "grande vecchio" della Dc a Mastella, passo breve, quasi scontato. «Quando m'hanno detto vieni a Sulmona, c'è pure Mastella, m'è venuto un colpo: l'hanno preso! Pure lui». E guardando il ministro divertito fin quasi a sdraiarsi sul pavimento, punta dritto verso un altro personaggio di grande attualità. «Ah, caro ministro, abbiamo capito tutto anche noi. Ora sappiamo che la Seconda Repubblica ha compiuto il suo corso, da un comico all'altro, da Berlusconi a Grillo. Però», chiosa, mentre Mastella annuisce vistosamente, «mi spiace per Beppe ma devo proprio dirlo: il primo faceva ridere di più».
CALDEROLI E D'ALEMA. Altro immancabile passaggio, quello con l'ex ministro Tremaglia («Una vita spesa per far votare gli italiani all'estero, convinto che fossero tutti di destra e quelli che votano in massa a sinistra...»), per introdurre il siparietto con D'Alema e i suoi «passi indietro» in occasione delle elezioni del presidente della Camera e della Repubblica. «C'ha i baffi, la barba, è intelligente: è il candidato ideale, dicevano tutti... Ma io dico», aggiunge perfido, «l'avete vista la sua barca? Ikarus, l'ha chiamata. Come quello che finì affogato in mare dopo che gli si erano squagliate le ali di cera. Bah!...». E Calderoli? Poverino, lui per Benigni è un'altra sorgente inesauribile di gag, «è l'altra faccia del candidato ideale, l'opposto di D'Alema: senza baffi, senza barca e senza....».
SIRCANA E I REALI. Un fiume in piena, un grillo che salta di qua e di là sul palco improvvisato nel carecre, forse neanche prima dell'indulto sovraffolato come durante lo spettacolo, che strappa applausi a ripetizione, che alterna con genialità imprevedibile le battute più pungenti alle riflessioni più profonde, ora sul povero Sircana, portavoce di Prodi finito nella Vallettopoli due perché si era "perduto" sulla strada dei viados mentre cercava quella per il Quirinale, ora sulla famiglia Savoia. «Ma come si fa a farsi intercettare mentre ci si raccomanda per una prostituta da non spendere molto? Ma che figuraccia con le altre famiglie reali europee!». Ed ecco, come intercalari di un racconto che diverte e affascina, coinvolge e sorprende, tutto il vasto repertorio su Berlusconi, tra le promesse elettorali e l'eterna incertezza nello scegliere l'erede tra i suoi colonnelli o gli alleati, salvo scoprire che la formula di «Pietro, su questa Pietra costruirò la mia chiesa...» ma si adatta ai vari Fini e Schifani. «E figuratevi se lo può fare Casini...»
Arriva il momento di Dante, Benigni si asciuga il sudore mentre lancia l'ennesima stoccata a Mastella, la grande sala, colme per metà di detenuti e l'altra di autorità, ospiti e ospiti degli ospiti, coglie il prossimo passaggio, si fa più attenta, sembra quasi trattenga il fiato, accoglie la lettura dei versi, le vicende di Paolo e Francesca con un'attenzione da lezione universitaria. Ora non si ride, si riflette. Una partecipazione che si percepisce netta quando Benigni lancia in sala l'appello a «leggere Dante, comunque. Non importa se non si capisce, perché dopo nulla apparirà come prima. Dante ci fa vedere il male più profondo ma ci fa anche vedere che l'avvenire migliore si construisce. Perché ci insegna la libertà è dentro di noi», conclude evocando immagini qui emblematiche come altrove mai. Perché «Dante è il bello, la sua poesia è la bellezza assoluta», chiosa, Benigni un attimo prima che un uragano di applausi lo sommerga per l'abbraccio finale. Un abbraccio intenso, vero.