«Elementi moderni nella città antica»

Le proposte del professor Alessandro Clementi, storico del medioevo aquilano.

La città angioina, quella ovvero che gravitava intorno a San Domenico, la città che gravitava intorno a San Pietro a Coppito, la città che gravitava intorno a San Silvestro, la città che gravitava intorno a Santa Giusta, ormai sono solo cumuli di macerie. Ed anche quanto apparentemente sembra essere ancora in piedi, è solo una specie di finzione di fondali teatrali, che dietro non hanno nulla. Un disastro per L’Aquila e i suoi abitanti. E tuttavia c’è speranza, come dimostra Bianca Maria Colasacco, che con sapienza e pietà scava le macerie per ricercare i frammenti di una civiltà artistica forse perduta. Nasce per noi aquilani, nonostante tutto, il problema di ricostruire. Cosa e come. Siamo storditi e non riusciamo a scorgere linee programmatiche sicure da seguire. Cerchiamo tuttavia di orientarci.

L’IDEA STORICA. Innanzitutto si tratterà di ricomporre l’idea storica della città, con le sue chiese capoquarto e con le chiese di locale, che dovranno essere punti di raccordo di ogni intervento, ricucendole alle realtà demiche extra moenia che furono i castelli fondatori. Ma si dovrà anche partire da quel rimescolamento che fu conseguenza del sisma del 1703 e che aveva dato vita a quell’impasto architettonico ed urbanistico che avrebbe posto in essere una città ad un tempo medievale e settecentesca. Problema preliminare, quindi, quello del ristabilire l’impianto urbanistico leggendovi i due strati, sia medievale che settecentesco, partendo, ovviamente, dallo strato della fondazione, la cui pianta è prevalentemente ortogonale.

Ovvero, il modello della città, come risulta con tutta evidenza dalla pianta del Fonticulano, che è costituita da lotti ortogonali che non ruotano intorno alla piazza. Non si realizza in essa il concetto dei blocchi privilegiati, ovvero della creazione gerarchica degli isolati in relazione alla vicinanza o meno alla centrale del potere, sia essa la cattedrale o il palazzo del signore, o il palazzo del comune. E tuttavia, in questa realtà urbanistica del sistema romano-ortogonale, che è il prevalente, si notano vistosi innesti di tipo radiale, ovvero di città che ruota intorno alla piazza.

Si pensi, a tal riguardo, alla strada che dalla fonte della Rivera cerca la piazza, adattandosi con il suo andamento curvilineo ai dislivelli del terreno, dando un’impronta nettamente pittoresca alla città che emerge con le sue icone, come la torre del palazzo, o i campanili delle chiese. Il risultato sarà quello di una commistione delle due concezioni, certo originale, che recupera anche senza ghettizzazioni una sicura specializzazione delle attività (via dei Ramieri, via degli Scardassieri, via degli Ortolani, via dei Conciatori) e delle “nazioni” (via dei Lombardi, via dei Veneziani, via dei Francesi, via degli Alemanni). Questa felice koinè tra classicità e medioevo farà a dire a Pierre Lavedan essere L’Aquila uno dei più grandi esiti della creazione urbana nell’Europa occidentale.

DA SALVARE. Un primo elemento da salvare è quindi l’impianto urbanistico che ha, come si diceva, le chiese come punto di riferimento. E poi i comparti, evitando, però, prove di anastilosi temeraria, ovvero di ricreazione falsa di ciò che presumibilmente vi era. Ove infatti non sia possibile ricreare la città dove e come era, sarebbe forse consigliabile ricreare una architettura moderna che sia addizione di quella antica. Si tratterà di raggiungere qualità progettuali che siano all’altezza delle architetture settecentesche di un Palazzo Centi, di un Palazzo Quinzi, di un Palazzo Pica Alfieri, di un Palazzo Antonelli ecc. Sarà ciò possibile? Si tratta di dibattere e pertanto di partire, sia pur lentamente, ma con il piede giusto. Un piede sbagliato sarebbe appunto quello delle anastilosi ad ogni costo, che costituiscono una pericolosa tentazione alla quale si deve resistere.

LE SCELTE. Problema di fondo diventa quindi quello di creare autorità tecniche rigorosissime che stabiliscano come e se restaurare, che stabiliscano, ovvero, fino a che punto portare la tecnica delle anastilosi. Le soprintendenze, integrate da competenze per settori culturali, estremamente rigorose, potrebbero essere il nerbo di queste autorità. Intorno ad esse bisognerà far ruotare il meglio degli urbanisti, dei restauratori, degli architetti, degli strutturisti, dei geologi ecc. Rifare una città non è compito facile. Tanto più in quanto non esistono ricchi modelli ed esperienze relative. Le linee guida non possono essere affidate ai soli comuni, come pilatescamente indica il decreto. Questi potranno essere, viceversa, i tramiti del coinvolgimento delle popolazioni locali a quest’opera che dovrà essere il risultato di dialettiche le più varie e le più vaste possibili.

IDENTITA’ CIVICA. Nella tragedia che ci ha colpiti, dovremmo trarre anche qualche elemento positivo: il consolidamento di una identità civica, che ha già avuto modo di manifestarsi come antica civiltà, nella dignità dei civici e privati comportamenti e che avrà ancor più modo di manifestarsi nella lucidità del programmare la ricostruzione della città e il proprio destino.