«Giustizia per i nostri ragazzi»
Casa dello studente, dolore e rabbia tra i familiari delle otto vittime.
L’AQUILA. Non hanno organizzato fiaccolate e commemorazioni pubbliche per i nove mesi trascorsi dal terremoto. Ma ieri, come avviene ormai il giorno sei di ogni mese, si sono ritrovati comunque lì, in via XX Settembre, davanti a quel che resta della Casa dello studente nel cui crollo hanno perso la vita i loro ragazzi.
Un’altra giornata amara per i familiari degli otto giovani rimasti sepolti sotto le macerie della Casa dello studente. E la relazione dei periti della Procura - in cui il crollo dell’ala nord dell’edificio viene imputato non al terremoto ma a una serie di errori e carenze in fase di progettazione, esecuzione dei lavori e dei successivi adeguamenti - alimenta il dolore, la rabbia e la voglia di giustizia.
«Ho quasi sperato» dice Roberto Di Simone, il papà di Alessio, «di poter attribuire al terremoto la responsabilità di quel crollo, perché così saremmo forse riusciti a metterci l’anima in pace. Ma non possiamo rassegnarci di fronte alle carenze strutturali, alle negligenze, agli errori che hanno spezzato la vita dei nostri figli e condannato noi a uno strazio senza fine. La perizia, in fondo, evidenzia cose che noi già sapevamo. I colpevoli di questo scempio dovranno essere puniti, non per vendetta ma per giustizia. Oggi siamo tornati qui. Lo facciamo ogni 6 del mese perché così ci sembra di essere più vicini ai nostri poveri angeli. Alessio voleva lasciare la Casa dello studente e aveva trovato un altro appartamento.
Ma andandosene avrebbe perso la borsa di studio, almeno così gli era stato detto dall’Adsu. Quell’appartamento è rimasto in piedi, invece qui c’è stata morte e devastazione. Non posso perdonare tutto questo» aggiunge con un filo di voce Roberto Di Simone. «Abbiamo grande fiducia nella giustizia e speriamo solo che la riforma con la quale si vuole introdurre il processo breve non vanifichi gli sforzi fin qui compiuti per far luce su questa vicenda».
«La perizia ha detto cose che noi sapevamo già» aggiunge Roberto Lunari, che nel crollo ha perso il figlio Luca. «Il terremoto non è un canguro che salta di qua e di là, che butta giù un’ala di un palazzo e lascia intatte le altre e gli edifici accanto. Ci sono state troppe negligenze nella progettazione e nella realizzazione della struttura. E poi i lavori di adeguamento e quei pannelli solari che hanno appesantito il tetto. Non ci sono stati controlli. Nessuno ha fatto nulla per evitare questa catastrofe. No, io non riesco a perdonare. E mi chiedo che gente è quella che ha progettato un edificio senza una colonna, che ha eseguito i lavori utilizzando materiali scadenti o che non ha via via verificato, nel corso dei lavori di adeguamento, le condizioni dell’immobile».
«Abbiamo assistito ai lavori dei periti, e trascorso il mese di agosto in quel cratere» spiega Antonietta Centofanti, promotrice del comitato dei familiari delle vittime della Casa dello studente, che in quel crollo ha perso il nipote Davide Centofanti. «Dai commenti dei nostri periti abbiamo compreso che avevano ragione i ragazzi a segnalare una situazione fatiscente rispetto alla quale, nelle settimane e nei giorni precedenti al sei aprile, l’Adsu ha sempre cercato di minimizzare. Non è casuale che a crollare sia stata l’ala dove era stata segnalata, in più occasioni, la presenza di crepe. Non è stato il terremoto ad uccidere i nostri ragazzi, ma la disonestà di progettisti, costruttori, tecnici e di chi aveva incarichi di gestione.
Ti puoi rassegnare alla forza distruttiva della natura, ma non a questo. Perciò andremo fino in fondo. E sarebbe auspicabile che il responsabile della sicurezza (Pietro Sebastiani), che il 30 marzo disse ai ragazzi che non avevano nulla da temere, facesse un passo indietro, che lasciasse almeno l’incarico».
Intanto, l’Azienda per il diritto agli studi universitari (Adsu) non ha ancora restituito alle famiglie delle vittime il deposito cauzionale di 500 euro versato da ogni studente per coprire eventuali danni. Ad affermarlo è la stessa Centofanti. «Ho chiesto la restituzione ma niente è stato fatto. Vorrà dire che presenteremo l’ennesima denuncia. Naturalmente non sono i soldi che ci interessano, ma registriamo ancora una volta mancanza di rispetto e di attenzione nei nostri confronti».
Un’altra giornata amara per i familiari degli otto giovani rimasti sepolti sotto le macerie della Casa dello studente. E la relazione dei periti della Procura - in cui il crollo dell’ala nord dell’edificio viene imputato non al terremoto ma a una serie di errori e carenze in fase di progettazione, esecuzione dei lavori e dei successivi adeguamenti - alimenta il dolore, la rabbia e la voglia di giustizia.
«Ho quasi sperato» dice Roberto Di Simone, il papà di Alessio, «di poter attribuire al terremoto la responsabilità di quel crollo, perché così saremmo forse riusciti a metterci l’anima in pace. Ma non possiamo rassegnarci di fronte alle carenze strutturali, alle negligenze, agli errori che hanno spezzato la vita dei nostri figli e condannato noi a uno strazio senza fine. La perizia, in fondo, evidenzia cose che noi già sapevamo. I colpevoli di questo scempio dovranno essere puniti, non per vendetta ma per giustizia. Oggi siamo tornati qui. Lo facciamo ogni 6 del mese perché così ci sembra di essere più vicini ai nostri poveri angeli. Alessio voleva lasciare la Casa dello studente e aveva trovato un altro appartamento.
Ma andandosene avrebbe perso la borsa di studio, almeno così gli era stato detto dall’Adsu. Quell’appartamento è rimasto in piedi, invece qui c’è stata morte e devastazione. Non posso perdonare tutto questo» aggiunge con un filo di voce Roberto Di Simone. «Abbiamo grande fiducia nella giustizia e speriamo solo che la riforma con la quale si vuole introdurre il processo breve non vanifichi gli sforzi fin qui compiuti per far luce su questa vicenda».
«La perizia ha detto cose che noi sapevamo già» aggiunge Roberto Lunari, che nel crollo ha perso il figlio Luca. «Il terremoto non è un canguro che salta di qua e di là, che butta giù un’ala di un palazzo e lascia intatte le altre e gli edifici accanto. Ci sono state troppe negligenze nella progettazione e nella realizzazione della struttura. E poi i lavori di adeguamento e quei pannelli solari che hanno appesantito il tetto. Non ci sono stati controlli. Nessuno ha fatto nulla per evitare questa catastrofe. No, io non riesco a perdonare. E mi chiedo che gente è quella che ha progettato un edificio senza una colonna, che ha eseguito i lavori utilizzando materiali scadenti o che non ha via via verificato, nel corso dei lavori di adeguamento, le condizioni dell’immobile».
«Abbiamo assistito ai lavori dei periti, e trascorso il mese di agosto in quel cratere» spiega Antonietta Centofanti, promotrice del comitato dei familiari delle vittime della Casa dello studente, che in quel crollo ha perso il nipote Davide Centofanti. «Dai commenti dei nostri periti abbiamo compreso che avevano ragione i ragazzi a segnalare una situazione fatiscente rispetto alla quale, nelle settimane e nei giorni precedenti al sei aprile, l’Adsu ha sempre cercato di minimizzare. Non è casuale che a crollare sia stata l’ala dove era stata segnalata, in più occasioni, la presenza di crepe. Non è stato il terremoto ad uccidere i nostri ragazzi, ma la disonestà di progettisti, costruttori, tecnici e di chi aveva incarichi di gestione.
Ti puoi rassegnare alla forza distruttiva della natura, ma non a questo. Perciò andremo fino in fondo. E sarebbe auspicabile che il responsabile della sicurezza (Pietro Sebastiani), che il 30 marzo disse ai ragazzi che non avevano nulla da temere, facesse un passo indietro, che lasciasse almeno l’incarico».
Intanto, l’Azienda per il diritto agli studi universitari (Adsu) non ha ancora restituito alle famiglie delle vittime il deposito cauzionale di 500 euro versato da ogni studente per coprire eventuali danni. Ad affermarlo è la stessa Centofanti. «Ho chiesto la restituzione ma niente è stato fatto. Vorrà dire che presenteremo l’ennesima denuncia. Naturalmente non sono i soldi che ci interessano, ma registriamo ancora una volta mancanza di rispetto e di attenzione nei nostri confronti».