AVEZZANO

Guanciale: vi racconto la mia vita da attore 

L’artista marsicano torna nella sua scuola dopo 20 anni: qui mi sono appassionato al cinema. Il teatro? Da esiliato al Classico

AVEZZANO. È stato come un ritorno a casa, nella scuola che lo ha fatto crescere e maturare, dove si è diplomato con il massimo dei voti e dove ha cominciato a masticare i primi rudimenti teatrali. L’attore avezzanese Lino Guanciale ha trasformato un incontro con i ragazzi del Liceo Scientifico Vitruvio di Avezzano in una giornata emozionante.
Attore versatile, attivo soprattutto nel teatro, nel cinema e nella televisione, pluripremiato, Guanciale, quasi commosso, è stato accolto con grande entusiasmo e affetto. La professoressa Claudia Di Biase, coordinatrice del giornale d’istituto, ha introdotto l’incontro sottolineando come la perseveranza di Guanciale nel credere nel suo sogno sia un vero modello per i giovani.

Dopo i saluti dei giornalisti del Centro, Domenico Ranieri e Roberto Raschiatore, che hanno coordinato il corso di giornalismo nell’istituto, alcune studentesse hanno snocciolato una serie di definizioni – «unico, eclettico, elegante, seduttore, autentico, non perfetto ma perfettamente umano» – ricavate da un sondaggio su Instagram “Come definiresti Lino Guanciale con una parola?”, per poi dare il via al cuore dell’intervista. L’incontro è stato intervallato dalla bella esibizione canora di Marco Boni, giovanissimo e talentuoso cantante emergente, studente del Vitruvio.
Mentre studiava qui, proprio in questo liceo, immaginava il percorso che ha avuto in questi anni? Che effetto le fa tornare?
«Mi sento davvero emozionato a tornare qui, dopo più di vent’anni, in questo luogo così importante per me. Da ragazzo non sapevo cosa fare da grande, probabilmente sarei diventato un medico come mio padre. Prendevo la scuola un po’ sottogamba, ma ero attento in classe e prendevo ottimi voti, e amavo molto le attività scolastiche pomeridiane, come il Cineforum. La recitazione mi attirava molto, ma avevo paura di non essere abbastanza bravo. Al quinto però partecipai quasi clandestinamente ad un laboratorio teatrale del Liceo Classico, coordinato dalla compagnia “Teatro dei Colori” di Gabriele Ciaccia. Fu grazie a quella esperienza che finalmente mi decisi».
Come mai, nonostante il successo possa dare alla testa, è rimasto così umile e attaccato alla tua terra?
«Non fu facile dire ai miei genitori che non volevo più studiare medicina. Fecero una gran scenata, ma mio padre Clelio mi colpì con una frase: “E adesso io come ti aiuto?”. Questo mi fece capire che i miei genitori volevano starmi vicino, nonostante tutto. Così nello studio della recitazione divenni molto severo con me stesso, per dimostrare ad amici e parenti di essere all’altezza della mia strana scelta. Ero determinato anche a mantenermi da solo durante gli studi, con piccoli spettacoli ed esibizioni canore con il piano o la chitarra. Ho fatto molta gavetta, e ho conservato questa abitudine all’autocritica anche adesso».
Cosa le ha lasciato il docufilm che ha realizzato con la Rai sul terremoto dell’Aquila?
«È il lavoro cui tengo di più. Dal punto di vista umano tutte le storie sono state sconvolgenti, ma una mi ha colpito in particolare: quella di Matteo Antonelli, che ha perso la sua fidanzata nel sisma, e nel tentativo di salvarla è rimasto sotto le macerie per 18 ore. Ha perso l’uso di un braccio e ha riportato gravi fratture, ma nonostante tutto, grazie a tanta forza d’animo e determinazione, ha coronato il suo sogno di diventare un ingegnere meccanico: oggi progetta motori Fiat».
Cosa può insegnare il teatro alle nuove generazioni?
«Il teatro è stato una terapia per la mia insicurezza. Tuttora rimango molto ansioso prima di andare in scena e la mia scaramanzia è proverbiale, ma solo quando sono sul palco riesco a liberarmi di molte maschere. Inoltre penso che il teatro, il cinema e la letteratura possano aprirci al mondo, cosa importante soprattutto in Italia, che è una realtà quasi interamente provinciale. La lettura mi accompagna da sempre: amo autori come Calvino, Mann, Baricco…Uno scrittore a cui sono molto legato è Elias Canetti».
In quale personaggio da lei interpretato si rispecchia maggiormente?
«Mi rispecchio molto in Cagliostro della serie tv “La porta rossa”, per il suo carattere schivo e solitario. Ho poi trovato divertente il mio ruolo nel film “I Peggiori”. Nel teatro, amo il mio ruolo nello spettacolo “La classe operaia va in paradiso”, che mi è valsa il Premio della Critica e il Premio Ubu. Mi è piaciuto anche interpretare Celestino V, grande simbolo di libertà, ed è stato importante portare in scena “Ragazzi di vita” di Pasolini».
Prima di diventare famoso, ha avuto dei momenti in cui pensava di lasciare tutto?
«Sì, soprattutto nel periodo tra il 2003 e il 2011 in cui ho scelto di dedicarmi esclusivamente al teatro, perché i ritmi frenetici della televisione mi spaventavano. Con il teatro è più difficile affermarsi, e quindi a volte, pensando alla mia condizione, avevo delle crisi. Buttandomi nella televisione ho avuto una visibilità maggiore, che però non ha affatto nuociuto, come invece temevo, alla mia reputazione teatrale. I premi di quest’anno sono stati una grande conferma. La televisione di Stato può offrire un prodotto di qualità, se sa stare al passo con i tempi e innovarsi con piattaforme simili a Netflix. Per quanto riguarda il teatro, non morirà mai: quella di ascoltare storie dal vivo è una necessità antropologica umana».
Ci racconta del suo provino per entrare all’Accademia “Silvio D’Amico”?
«La storia è esilarante perché, essendo digiuno di teatro, non comprendevo l’importanza dell’accademia. Forse proprio questa incoscienza mi ha aiutato. Tutti gli altri candidati erano teatromani, con l’aria compassata, la dolce vita e l’immancabile foulard. Io invece divenni subito famoso, dopo essere entrato, per la mia imitazione del riccio».
Dopo una breve imitazione del riccio e un’esibizione canora con la chitarra, l’attore ha lasciato con parole ispiranti: «Sperate con tutto il cuore nei vostri sogni, e per realizzarli seguite sempre la via più difficile: capirete se siete tagliati in quel campo, e soprattutto maturerete davvero professionalmente e spiritualmente». Autenticità, simpatia e profondità di Lino Guanciale hanno emozionato tutti e, come ha dichiarato, «il meglio deve ancora arrivare».
Andrea Baiocco
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