Chiedo verità e giustizia Del mio condominio in via Campo di Fossa si parla poco malgrado i ventisette morti

«Ho perso tutto, dissero di stare tranquilli»

Parla per la prima volta il pediatra medaglia d’oro rimasto senza figli e senza moglie

L’AQUILA. Fissa un punto nel vuoto e racconta. Racconta e si tormenta le mani, rigira la fede rimasta all’anulare, senza più una lacrima da perdere in un futuro che non riserva sogni o conquiste. Racconta con gioia dei suoi figli e della moglie perduti nella terribile notte. Racconta con rabbia del mostro terremoto, degli allarmi inascoltati, delle troppe rassicurazioni traditrici, dei 308 martiri uccisi da sassi e cemento fragile. Massimo Cinque, medico pediatra, accetta di aprire per la prima volta da un anno la sua pagina del dolore. E di raccontarla.

Il 6 aprile 2009 il medico Massimo Cinque ha perso tutto nel crollo della sua abitazione in via Campo di Fossa al civico 6: i figli Matteo e Davide, le sue «piccole pesti» di 9 e 11 anni, sua moglie Daniela Visione, di 43 anni. Massimo Cinque l’ha risparmiato il destino. Quella notte di un anno fa era in servizio nell’ospedale di Sulmona, dove lavora da sette anni.

«Alle 23,30 mi chiamò mia moglie Daniela», racconta, «mi disse che c’era stata l’ennesima scossa e mi chiese come doveva comportarsi. Non ti preoccupare, le risposi, dormi tranquilla. Le ripetei le parole che ci avevano detto gli esperti. Quella è l’ultima volta che l’ho sentita. Alle 3.32 fui svegliato dal terremoto, ma non mi preoccupai, non so per quale motivo. E tornai a dormire. Due ore dopo le infermiere mi avvisarono che la televisione stava trasmettendo le immagini dell’Aquila distrutta. A quel punto ho capito qual era la gravità, ho provato a contattare i miei, sono partito.

Sulla Statale 17, a Castelnuovo, ho avuto un brivido di fronte alla prima casa sventrata. All’Aquila ho trovato e visto l’inferno. Della mia casa in via Campo di Fossa era rimasta solo polvere. Un palazzo sbriciolato. In venti secondi ho perso tutto ciò che un uomo può perdere. Una moglie e una madre esemplare. Matteo e Davide, due bimbi pieni di vita. I vigili del fuoco li hanno trovati nel lettone. Non passa giorno della mia nuova vita senza un pensiero rivolto a loro. Un ricordo sempre vivo. Ringrazio il Signore che mi ha dato la fortuna di averli avuti a fianco, anche se per poco. Li porto nel cuore. Come porto nel cuore i tanti che mi hanno aiutato in questi mesi. Molti amici, i miei suoceri, mio cognato, i miei genitori. Sono stati al mio fianco, le istituzioni no».

Qui il ricordo si fa rabbia. Massimo Cinque, a pochi giorni da questo primo anniversario, ha ricevuto una medaglia d’oro dal ministro della Salute, Ferruccio Fazio. Una medaglia perché il medico è tornato al lavoro subito dopo i funerali e ha prestato la sua opera in favore delle popolazioni colpite dal terremoto.

«Ho fatto semplicemente il mio dovere», riprende Cinque, «sono un medico, faccio il pediatra, e ogni giorno devo assumermi delle responsabilità per i miei piccoli pazienti, prendendo decisioni anche immediate. Posso camminare sempre a testa alta, dovunque vada. Altri la testa la devono abbassare. Sì, sono critico. Il 31 marzo di un anno fa la riunione della commissione Grandi rischi si concluse in venti minuti. Come una riunione di condominio. E senza adottare alcuna decisione. Il vicecapo della Protezione civile De Bernardinis disse di stare tranquilli, di stare in casa e bere una buona bottiglia di vino Montepulciano. Quelle parole sono impresse nella mia mente. Mi sono fidato, ci siamo fidati di persone che ricoprono ruoli di grande responsabilità. Quelle parole le ho ripetute a mia moglie in quell’ultima telefonata: le ripetei di stare tranquilla.

Ci dissero che la terra più scarica energia e meglio è. Dovevano invece avvertirci che ci trovavamo in uno stato di allerta, che i terremoti non si possono prevedere ma che non si possono neanche escludere. Bisognava realizzare dei punti raccolta per la popolazione, perché la situazione non era così tranquilla. Quanto è successo è vergognoso e inconcepibile. Ho dubbi atroci, mi pongo tante domande. Perché dopo il 6 aprile tutti gli scienziati che studiano questi fenomeni hanno detto che il terremoto dell’Aquila ha dato ampi segnali, si è fatto annunciare con grande anticipo? Questo mostro bussava alle nostre porte da più di quattro mesi e io quella notte l’ho fatto entrare in casa mia perché qualcuno mi aveva rassicurato. Per questo chiedo verità e giustizia.

Le chiedo per mia moglie e i miei due angeli, per tutti i 308 martiri morti quella notte. Martiri perché hanno pagato le colpe di altri. Nel mio palazzo, costruito negli anni Sessanta, sono morte 27 persone, fra le quali due bimbi piccoli e una quindicina di studenti universitari. Non so a che punto sia l’inchiesta della magistratura, però ricordo che non possono esserci morti di serie B. Sarebbe il caso di parlare un po’ di più di questo palazzo in via Campo di Fossa, come si fa per la Casa dello studente o per l’edificio in via D’Annunzio. Ho incontrato il capo della Protezione civile Bertolaso pochi giorni fa, alla presentazione del libro di Roberto Grillo. Una rapida stretta di mano e niente più.

Da Bertolaso aspettiamo ancora delle risposte. Il 14 agosto, durante il videoforum organizzato dal Centro, il giornalista Giustino Parisse pose la domanda che ci facciamo tutti: si poteva fare qualcosa prima? Bertolaso rispose: parlerò il 31 dicembre nel momento in cui vi saluterò. Dopo, alla lettera del padre di una giovane vittima pubblicata sempre sul Centro, lo stesso Bertolaso riferì che c’erano state troppe morti, annunciò che alla fine del suo mandato avrebbe detto cose che allora non si potevano dire. Aspettiamo queste risposte. Le dobbiamo ai nostri martiri. Le pretendo per la mia splendida moglie e per i miei piccoli angeli».

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