Il giudice dà ragione a Transcom

La Corte d’Appello: la multinazionale non deve risarcire i 55 dipendenti licenziati nel 2009

L’AQUILA. La Corte d'Appello del tribunale dell'Aquila ha ribaltato al sentenza con cui lo scorso dicembre il giudice del lavoro Anna Maria Tracanna aveva condannato la multinazionale Transcom per il licenziamento, ritenuto illegittimo, di 55 dipendenti, avvenuto subito dopo il sisma.

Accolto dunque il ricorso presentato dall'azienda, che avrebbe dovuto risarcire i lavoratori con circa 1 milione e 500mila euro, corrispondenti a 20 mensilità per ciascun licenziato. Amareggiati gli operatori del call center, che sono pronti a ricorrere in Cassazione. Le motivazioni della Corte d'Apello si conosceranno a settembre: «La sentenza del giudice del lavoro», spiega il segretario regionale dell'Ugl Piero Peretti, «aveva reso giustizia a questi lavoratori e poggiava su argomentazioni forti. Siamo molto dispiaciuti, ma accettiamo per ora il verdetto dei giudici, in attesa di conoscerne le motivazioni. Subito dopo, partiranno i ricorsi per la Cassazione». «E siamo convinti che alla fine la giustizia trionferà», aggiunge fiducioso. «Ringraziamo per la passione dimostrata l'avvocato Alessandra Dundee».

La vicenda ha preso le mosse nel 2009, quando a pochi mesi dal terremoto, la Transcom licenziò i 270 operatori del call center di Pettino, dopo 10 anni di attività nel capoluogo. Con due motivazioni: l'inagibilità dello stabile causata dal sisma e la mancanza di commesse. Dopo una lunga mobilitazione, 200 dei 270 ex dipendenti furono riassorbiti dalla Ecare. Ma 55 persone, di cui 40 iscritte all'Ugl, fecero ricorso al giudice del lavoro, ottenendo il maxi-risarcimento. La sentenza fu definita storica: «Il licenziamento collettivo era e resta un atto illegittimo», afferma Peretti, «in quanto lo stabile di Pettino è tornato agibile dopo pochi mesi e a settembre del 2009 la Transcom si è aggiudicata l'importante commessa nazionale per gestire il numero verde dell'Inps-Inail. Non c'erano i presupposti per mandare a casa tutti i lavoratori. La nostra battaglia non si ferma qui».

Romana Scopano

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