Il Piano strategico dei sogni due settimane prima del disastro 

Il 20 marzo 2009 il testo base del documento programmatico sul futuro della città era pronto Al Comune il rimpasto dell’allora sindaco Cialente dopo quasi tre mesi di crisi politico-amministrativa

L’AQUILA. Il 19 marzo 2009 la città si sveglia sotto una nevicata. Poca roba, tanto che la viabilità non subisce grossi rallentamenti e la cronaca registra solo un piccolo incidente sulla Mausonia, la strada nata, nelle intenzioni di chi la progettò, come variante per aggirare il centro urbano evitando così il passaggio dei mezzi pesanti dentro le mura.
«ECCO LA GIUNTA». La mattinata per gli aquilani è di quelle ordinarie: il tempo di una capatina al bar per un cappuccino e un cornetto, i figli da accompagnare a scuola e poi al lavoro (quelli che ce l’avevano). Sul presto da Palazzo Margherita viene diffuso l’atteso annuncio: “Abbiamo la giunta comunale”. Mancano due giorni a primavera, presto tornerà il bel tempo, i mandorli sono già in fiore e se non ci fossero quelle fastidiose scosse di terremoto tutto filerebbe liscio come l’olio, cioè nella solita noia di una soporifera e autoreferenziale città di provincia. Il sindaco Massimo Cialente, dopo quasi tre mesi di una crisi politico-amministrativa che ai più era apparsa incomprensibile, aveva “rimpastato” l’esecutivo e ridistribuito le deleghe. Le novità erano Marco Fanfani (Socialisti) e Luca D’Innocenzo (Sinistra democratica). Roberta Celi (Impegno per L’Aquila) e Luigia Tarquini (Sdi), vennero “dimesse”. Il sindaco rivolse loro un ringraziamento «per il proficuo lavoro svolto in questi 21 mesi». La solita frase fatta che nascondeva un bel po’ di ipocrisia. Se i due assessori donna avevano fatto un proficuo lavoro perché erano state cacciate? Il sindaco, attualmente dimissionario, Pierluigi Biondi (anche sulla storia delle dimissioni ci sono evidenti analogie con Cialente) poche settimane fa ha fatto la stessa cosa mandando a casa Annalisa Di Stefano e Sabrina Di Cosimo. Fanno un po’ tenerezza le critiche rivolte all’attuale primo cittadino da esponenti del centrosinistra che hanno accusato Biondi di essere un po’ misogino. Anche se lo fosse avrebbe degli illustri predecessori. E infatti, il giorno dopo la defenestrazione, la Celi e la Tarquini attaccarono a testa bassa il sindaco Cialente: “Ci ha cacciate in maniera vergognosa, le notifiche di revoca ci sono state consegnate al bar”. Lo sfogo cadde nel vuoto. La capacità dei politici di far finta di nulla e di farsi scivolare tutto addosso è invidiabile. La nuova giunta comunale aveva nove componenti e di fatto la presenza femminile era dimezzata. Restavano solo Anna Maria Ximenes del Pd alle politiche culturali e Silvana Giangiuliani, figura tecnica, al bilancio. C’erano poi Roberto Riga (Api) vice sindaco, assessore alle Politiche urbanistiche e alla Protezione civile; Alfredo Moroni (Pd) politiche e servizi per la tutela dell’ambiente; Pierluigi Pezzopane (Italia dei Valori) anagrafe, contenzioso e contratti, polizia municipale, gestione della mobilità urbana; Luca D’Innocenzo (Sinistra democratica) politiche educative e scolastiche, welfare degli studenti; Antonio Lattanzi (Rifondazione) sport, promozione e attività motorie, rapporti con le associazioni sportive, gemellaggi; Ermanno Lisi (ex Udeur) lavori pubblici ed edilizia scolastica, riqualificazione delle periferie, impianti sportivi; Marco Fanfani (Socialisti) politiche comunitarie, attività produttive, progetti strategici di sviluppo locale, politiche del lavoro.
PIANO STRATEGICO. Il titolo forte della cronaca era però dedicato al cosiddetto piano strategico, il “pallino” di Cialente il quale nei mesi precedenti aveva avviato una serie di consultazioni con associazioni, categorie, Ordini professionali, sindacati. Insomma con i cosiddetti portatori di interessi che all’Aquila sono tanti, forse troppi. Quelle consultazioni, almeno dal punto di vista mediatico, si svolsero un po’ in sordina. Comunque il 20 marzo i “sudditi” vennero a conoscenza che, finalmente, il testo base del piano strategico era pronto. Il documento esordiva con la presa d’atto che “la città, se pur ricca di risorse e potenzialità è da troppi anni ferma e quindi deve ritrovare una direzione ampiamente partecipata su cui lavorare e coagulare soggetti, progetti e fondi”. Il piano, veniva spiegato nell’articolo a firma di Marina Marinucci, ruotava intorno a “quattro assi di intervento: L’Aquila città della scienza; Gran Sasso inteso come sistema di eccellenza; L’Aquila città vitale; avvio dei processi di partecipazione tra gli enti locali”. Il documento, per stessa ammissione del sindaco, era una enunciazione di buone intenzioni ma, veniva sottolineato “sulle indicazioni emerse andremo ad aprire a breve un nuovo confronto con la città confidando su un’ampia collaborazione e su un lavoro di squadra che è l’elemento mancante nella storia del capoluogo». In un paio di mesi L’Aquila, in base alle promesse del primo cittadino, avrebbe avuto la sua strategia per il futuro. Siccome con i se e con i ma non si va da nessuna parte è difficile persino ipotizzare che fine avrebbe fatto quel piano strategico nel caso non ci fosse stato il terremoto. Quello che è certo è che dopo il sisma l’unica strategia “cotta e mangiata” – dovuta all’emergenza – fu quella di realizzare 19 piani Case (e una miriade di Map e casette autoprodotte) sparsi sul territorio che volenti o nolenti hanno ridisegnato e cambiato profondamente la periferia aquilana. In questi 10 anni si è parlato di piano di ricostruzione, piano regolatore, piano per le aree a breve, piano per la mobilità, piano per il turismo, piano per il marketing territoriale, piano commerciale. Nella realtà di Piano (Renzo) c’è solo l’Auditorium peraltro contestato vivacemente dai puristi del dov’era e com’era. È noto che agli aquilani i piani non piacciono (le decennali traversie del Prg stanno lì a dimostrarlo). Le regole fanno sempre un po’ paura. In questi anni sono state emanate migliaia di norme (quindi alla fine nessuna norma) che hanno prodotto quella “equilibrata confusione” che permette di fare le cose un po’ a capocchia (la ricostruzione a macchia di leopardo soprattutto nelle frazioni la dice lunga) a seconda di una strategia alimentata da interessi particolari – legittimi certo – ma lontani da una visione complessiva attenta alle esigenze delle comunità. Quindi non tanto “dove era e come era” ma “dove dico io e come piace a me”. Sul Centro del 21 marzo 2009 Orazio Raparelli, assessore di Scoppito, in un lungo intervento metteva a fuoco anche il rapporto fra la città capoluogo e i comuni dell’immediato circondario. Un rapporto da sempre complesso con L’Aquila vista spesso come matrigna. Nemmeno il terremoto, nonostante le buone intenzioni sparse a piene mani in questi anni, è riuscito a invertire la rotta.
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