Il sisma alza il tiro: scuole chiuse E Bertolaso mandò gli scienziati 

A fine marzo 2009 i segnali dell’imminente disastro: la Commissione Grandi rischi approda in città L’esperto dell’Ingv: «Si tratta di movimenti locali. La crosta terrestre subisce piccole fratture»

L’AQUILA. Sul Centro del 31 marzo 2009 c’è la cronaca della giornata precedente, lunedì 30 marzo, quando partì uno psicodramma che porterà – in un crescendo convulso e confuso fatto di parole dette e non dette e di messaggi alla popolazione spesso contraddittori – dritti al 6 aprile e quindi alla tragedia.
GENTE IN STRADA. Ripercorriamo la giornata del 30 marzo con la sintesi dell’agenzia Ansa alle 19,43 di quel giorno: “È stata la scossa più forte dal 16 gennaio quella di magnitudo 4 che oggi alle 15,38 ha fatto scendere in strada la popolazione dell’Aquila, seguita cinque minuti dopo da una replica di intensità di poco inferiore (3,5) e successivamente da almeno altre tre scosse superiori a 2. Dall’inizio dello sciame sismico, un mese e mezzo fa, sono 30 gli eventi di magnitudo superiore a 2 registrati dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia nel distretto aquilano e nel bacino di Sulmona, dove ieri (29 marzo, ndr) si era verificata una scossa di 3,8. Nessun ferito è arrivato al pronto soccorso dell’ospedale, al quale si sono rivolte invece una decina di persone colte da malore per lo spavento. Né sono stati rilevati, per il momento, danni importanti: attualmente sono segnalate lesioni a intonaci e qualche cornicione pericolante. Dopo le due scosse più forti – alle 15,38 e alle 15,43 – avvertite distintamente in diverse zone del capoluogo e in alcune frazioni, molta gente si è riversata in strada, abbandonando le abitazioni. Per uffici e scuole è stata immediatamente disposta l’evacuazione. Il traffico cittadino è andato in tilt, anche a causa della pioggia battente. A Roio, dove hanno sede le facoltà di Ingegneria ed Economia, molti studenti hanno interrotto le lezioni e sono usciti in strada. Le scosse sono state avvertite nettamente anche ad Assergi, alle pendici del Gran Sasso, e nella stazione sciistica di Campo Imperatore a quota 2.200 metri. Su disposizione del sindaco, Massimo Cialente, domani (martedì 31 marzo 2009, ndr) tutte le scuole dell’Aquila resteranno chiuse per verificare la tenuta degli edifici. Sempre domani, su richiesta del capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, si terrà nella sede della Regione all’Aquila, una riunione degli esperti della Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei Grandi rischi. Obiettivo, dicono al Dipartimento della Protezione civile, quello di “fornire ai cittadini abruzzesi tutte le informazioni disponibili alla comunità scientifica sull’attività sismica delle ultime settimane. È utile precisare che non è possibile prevedere in alcun modo il verificarsi di un terremoto e che non c’è nessun allarme in corso da parte del Dipartimento della Protezione Civile, ma una continua attività di monitoraggio e di attenzione”, si legge in una nota dello stesso Dipartimento. Secondo l’Ingv, ente preposto alla sorveglianza della sismicità sul territorio nazionale, “le scosse avvertite oggi dalla popolazione fanno parte di una tipica sequenza di terremoti, del tutto normale in aree sismiche come quella dell’Aquilano che, negli ultimi mesi, ha registrato quasi 200 eventi, la maggior parte dei quali non avvertiti dalla popolazione”.
I RETROSCENA. Queste sono le notizie che furono date agli aquilani quel 30 marzo sera, veicolate dai principali notiziari televisivi regionali e nazionali. I retroscena di come andarono veramente le cose sarebbero venuti fuori solo mesi dopo grazie a rivelazioni giornalistiche e al processo Grandi Rischi. Ogni aquilano conosce a memoria la telefonata fra il capo della Protezione civile e l’assessore regionale alla Protezione civile Daniela Stati. Un’ulteriore “spia” che c’era una chiara volontà di rassicurare è un passaggio dell’articolo apparso sul Centro il 31 marzo 2009. Il quotidiano, annunciando la riunione della Grandi Rischi, riprendeva sostanzialmente le notizie Ansa, ma aggiungeva un particolare in più che, letto 10 anni dopo, non fa che confermare la linea che la Protezione civile si era data rispetto allo sciame sismico, linea che in qualche modo arrivava nelle redazioni della stampa locale anche per vie traverse. Nel “pezzo” è scritto che fra gli obiettivi della riunione degli “esperti” – prevista appunto nel pomeriggio del 31 marzo – oltre a quelli enunciati nel lancio Ansa c’era anche quello di “rassicurare”. Ciò che si è saputo dopo (intercettazioni e documenti vari) è stato oggetto di un processo e i giudici hanno stabilito che gli “esperti” non ebbero colpe e non rassicurarono nessuno (la condanna di Bernardo De Bernardinis vicecapo della Protezione civile è stato il modo per dare un contentino all’opinione pubblica, classico capro espiatorio). Resta però un dato incontrovertibile: le informazioni che in quelle ore del 30 marzo (e poi nei giorni a seguire) giungevano agli aquilani erano quantomeno confuse. E ciò influì nei comportamenti dei cittadini che non furono indotti a prendere sul serio la situazione. Comunque, anche se le cose dal punto di vista penale fossero andate in modo diverso, non avrebbero certo contribuito a resuscitare nessuno dei 309. Resta l’amarezza per una sentenza (quella di secondo grado) che, nelle motivazioni, in alcuni passaggi offende l’intelligenza dei sopravvissuti e la memoria dei deceduti.
L’ESPERTO. Sempre il Centro, il 31 marzo, pubblicava un’intervista (fatta quindi prima della riunione della Grandi Rischi) al dottor Massimo Di Bona dell’Ingv (a firma di Vittorio Perfetto) che in sostanza ripeteva le cose dette dai suoi colleghi nelle settimane e nei mesi precedenti. Ecco una parte di quell’intervista:
Perché questo sciame così insistente?
«Tutto l’arco appenninico è in continuo e costante movimento, ci sono scosse tutti i giorni. In questo periodo all’Aquila si sente di più perché i movimenti tellurici sono più in superficie, ma anche perché in quella zona ci sono faglie che sono fragili e si muovono l’una sulla superficie dell’altra. Questo, però, non è negativo: se fossero state faglie più resistenti le scosse sarebbero state molto più forti».
Ma è possibile che si stia abbassando o alzando qualcosa sotto la crosta terrestre?
«Assolutamente no. Non scherziamo. Si tratta di movimenti superficiali della crosta terrestre. Se ci fossero movimenti di zolle, ci sarebbero terremoti devastanti, catastrofici. Si tratta, in questo caso, di movimenti locali, dovuti alla conformazione locale della crosta terrestre che subisce piccole fratture».
Quindi non è direttamente collegabile uno sciame così lungo con un eventuale rischio di movimento molto forte?
«C’è lo stesso rischio all’Aquila, come in qualsiasi altra parte del mondo, ma non c’è nessun collegamento con lo sciame. Non c’è nulla di anomalo, in Italia è così. E non c’è nessun modo di prevedere un terremoto, questo dev’essere ben chiaro».
Quindi, nessuna rassicurazione?
«Nessuno può rassicurare, l’unica cosa che può rassicurare è che le case e gli edifici siano costruiti in un certo modo».
Sono più a rischio le abitazioni vecchie del centro storico o le nuove costruzioni?
«Se sono proprio vecchie, c’è da preoccuparsi, altrimenti spesso le abitazioni antiche reggono meglio di quelle nuove».
La cronaca del 30 marzo (raccontata in tempo reale dalle agenzie e il giorno dopo dai quotidiani) finisce qui. La gente quella sera va a letto non sapendo bene cosa stesse succedendo e soprattutto come si sarebbe dovuta comportare. L’arcivescovo Giuseppe Molinari invece una cosa la fece, l’unica che poteva fare in quel momento un uomo di fede. Fissò, per le ore 12 del primo aprile, nella chiesa delle Anime Sante (costruita dopo il sisma del 1703) una Messa per chiedere l’intercessione di Sant’Emidio, il Santo che protegge dai terremoti. Ma le rassicurazioni degli esperti forse tranquillizzarono anche lui, il Santo, che la notte del 6 aprile alle 3,32 ebbe un improvviso colpo di sonno. Almeno all’Aquila, non gli succedeva dal 1703.
(21-continua)
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