Il tecnico a casa: in Nigeria non torno

L'aquilano Di Girolamo: portato via da 4 persone, ho mangiato riso e pollo

ROCCA DI CAMBIO. Per tutta la giornata di ieri la villetta della famiglia Di Girolamo, all'imbocco del paese, è stato un viavai continuo di persone: amici, giornalisti, parenti. Soltanto a metà pomeriggio le telefonate e le telecamere si sono diradate e per Modesto Di Girolamo, il tecnico settantenne rapito in Nigeria lunedì scorso e liberato venerdì sera, è cominciato il riposo nella casa circondata da fiori e biciclette. Ma con pazienza e un sorriso che nasconde la stanchezza Modesto si concede un'altra intervista. La sala da pranzo profuma di caffè, la tavola è ancora semi-apparecchiata. Con Modesto ci sono la moglie Enza, i figli Oriana, Erminia e Fabrizio, e poi il genero, la nipotina di 14 mesi, il fratello arrivato da Roma. «Il sindaco Gennarino Di Stefano ha detto che preparerà una bella festa in onore del mio ritorno. Io non mancherò sicuramente», scherza Modesto. Per oggi niente festa in paese, dunque. È troppa la voglia di restare in famiglia e rilassarsi un po' per il tecnico rocchigiano, che in Nigeria lavora da oltre 40 anni, molti dei quali alle dipendenze della ditta «Borini&Prono Costruzioni» di Torino.

IL RITORNO. Di Girolamo è atterrato all'aeroporto di Ciampino domenica notte alle 3,30. Poi un veloce abbraccio ai familiari in una saletta riservata del 31º Stormo. Infine il rientro a Rocca di Cambio. Irresistibile il richiamo del paese: Modesto ha fatto un giro in piazza, al bar, riabbracciando i suoi compaesani, che hanno seguito con trepidazione la fine di tutta la vicenda. Ha avuto anche il tempo di fare un salto all'ex mattatoio, dove un suo coetaneo festeggiava i 70 anni. Poi, di nuovo a casa. «È stato bello, perché ho ritrovato la famiglia», racconta. «Sono loro che hanno passato i momenti più brutti». In sottofondo la nipotina parla e gioca, sovrastando l'emozione del nonno. «Sono stato trattato bene. Quando una persona viene presa da sconosciuti, quelle poche cose che non ti fanno mancare indicano che ti rispettano», spiega. «Mi hanno chiesto sempre quello che volevo da mangiare, ma dovevo adeguarmi a quello che il mercato passava».

Scherza, Modesto, mentre ricorda i giorni della prigionia: «Di certo non potevo chiedere la lasagna o la pastasciutta. Ma tutte le mattine mi portavano una bottiglia di acqua minerale fresca e un pacchetto di sigarette Rothmans. Poi mi chiedevano cosa volevo: riso in bianco con pollo o con uova». Il tecnico rocchigiano non si scompone quando racconta il rapimento, sul quale la Procura di Roma ha aperto un'inchiesta per sequestro di persona con finalità di terrorismo e per la quale Di Girolamo sarà ascoltato la settimana prossima.

«Mi hanno portato via in quattro: tre persone armate e un autista», racconta. «Mi hanno detto di salire in macchina. Una sorpresa: non me l'aspettavo. Ho lavorato per 3 anni in questa città, Ilorin, dove con la ditta abbiamo fatto lavori molto belli chiesti dal governatore. Io lì sono considerato una brava persona, ho saputo svolgere il mio lavoro. Tutti mi conoscono, non potevo immaginare che un giorno mi avrebbero sequestrato». Tutti posti apparentemente «tranquilli» quelli in cui Modesto ha lavorato in Nigeria, tanto che nel 1980 anche la famiglia lo raggiunse e restò con lui per 3 anni.

«Fabrizio aveva un anno, Oriana 8», ricorda Di Girolamo. «Ai miei figli non mancava nulla: frequentavano una scuola italiana e facevano lezioni di inglese». Poi, alla fine della carriera, è arrivato questo regalo inaspettato. «Proprio un bel "regalo". Se prima ero davanti a un bivio, andare via o restare in Nigeria, adesso esiste soltanto una strada dritta che porta a casa mia, dove sta la mia famiglia. Cosa voglio di più dalla vita?».

LA LIBERAZIONE. «Mi hanno liberato alle 20 di venerdì 1 giugno», ricorda Modesto, «lasciandomi a 30 chilometri di distanza dal mio villaggio: ho preso un taxi e sono arrivato intorno alle 21». Lì, ad aspettarlo, un rappresentante delle istituzioni. «Al campo c'erano i miei amici, ma anche questa persona con cui per prima dovevo parlare. Insomma: non potevo contattare subito la mia famiglia. C'era qualcuno della ditta che ha chiamato il padrone della compagnia, il quale a sua volta ha chiamato l'Ambasciata confermando che ero libero».

Poi è partita la macchina della diplomazia che ha riportato in Italia Modesto. Un giorno potrà raccontare la sua avventura alla nipotina che lo aspetta per farsi tenere in braccio.

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