L'antica Forcona chiama la città ferita

È stata aperta al pubblico per la prima volta l'area archeologica di Civita di Bagno

L'AQUILA. Gianfranco Totani, docente di geotecnica all'università dell'Aquila lo ha detto più volte: quello del sei aprile 2009 è stato il terremoto della conca aquilana. E da Colle Moritola, fra Bagno e Civita di Bagno, lo sguardo abbraccia tutta quella conca che porta le tracce di oltre duemila anni di storia. Ieri mattina per la prima volta è stata aperta al pubblico l'area archeologica con i resti della città romana di Forcona. Su Colle Moritola ci sono le origini dell'Aquila.

L'apertura dell'area archeologica è solo per pochi giorni, fino a giovedì, con orario dalle 8 alle 20.  Un altro periodo è previsto ad agosto quando si potrà visitare anche la necropoli di Fossa. E' un esperimento voluto dal soprintendente Andrea Pessina che in una intervista di qualche mese fa a una rivista specializzata affermava: «L'archeologia è considerata soprattutto dagli stessi amministratori un pesante, se non inutile, fardello.

Quello che si è smarrito è il senso del perché vogliamo conservare il patrimonio archeologico, dando invece quasi l'impressione di voler solo riempire i depositi di pezzi che nessuno vedrà mai esposti o punteggiare le nostre città di ruderi. Se il significato di tutto ciò si è smarrito, la colpa è certo anche di noi operatori, che fatichiamo a trasmettere in maniera chiara e comprensibile l'importanza del nostro patrimonio, che diventa così una cosa quasi avulsa da ciò che lo circonda».

La decisione di aprire al pubblico l'area archeologica di Civita di Bagno deve essere stata presa anche contro obiettive difficoltà, prima fra tutte quelle finanziare: solo un paio di container per i custodi-guida, nessun cartello sulla statale 5 bis a indicare il sito, una strada sterrata in salita dove una macchina procede a fatica.

Insomma siamo lontani ancora mille miglia da una valorizzazione in grado di portare su quel colle folle di visitatori.  Ma la decisione coraggiosa della Soprintendenza forse voleva essere anche un segnale a chi lavora alla ricostruzione della città distrutta dal terremoto: una occasione per ricucire la storia dell'Aquila iniziando quel percorso capace di trarre vantaggio da tesori che vanno dall'archeologia alla città che conoscevamo fino al 5 aprile.

Alla parte opposta dell'antica Forcona (con le sue ville romane, le terme, teatro e anfiteatro quest'ultimi ancora da portare alla luce) c'è il colle di Bazzano con gli alloggi del piano Case. Basta frugare con lo sguardo ed ecco la prima cattedrale dell'Aquila proprio davanti a Civita di Bagno, i borghi di Monticchio, Onna, San Gregorio, Bazzano, Paganica, Sant'Elia fino a risalire verso Collemaggio con la sua splendida basilica colpita ma non piegata dal sisma. 

Nell'area archeologica dove sta tornando alla luce Forcona si scava dal 1995. Finora è venuto alla luce, come è scritto in una nota della Soprintendenza «un ampio terrazzamento artificiale con edifici collegati tra loro, ognuno adibito a funzioni specifiche. Gli ultimi scavi, con le diverse tecniche edilizie usate e lo studio della sequenza stratigrafica, avvalorano l'ipotesi che la costruzione del complesso monumentale si sia sviluppata in fasi successive.

L'Età Augustea è quella di massima fioritura, quando furono realizzate le strutture di sostegno della collina. Le decorazioni dei palazzi comprendono pavimenti a mosaico, affreschi e intonaci, rivestimenti in stucco».  Su un sito internet vengono riportate le date principali che hanno segnato la storia di Forcona. La "cronaca" scritta da Giuseppe Bucci ipotizza che la «città di Forcona si estendeva nella plaga compresa tra Sant'Eusanio, Fossa, Civita di Bagno, Bazzano e San Gregorio». 

E poi una miriade di eventi più o meno significativi, che hanno uno snodo alla metà del XIII secolo quando la diocesi venne spostata da Civita di Bagno all'Aquila, dopo la nascita della città a cui contribuirono tutti i villaggi della conca aquilana.  Oggi, ridisegnando la città, molti fili potrebbero essere riallacciati, non per fare accademia ma per ridare una speranza a un territorio che sembra non averne.

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