L'Aquila, assoluzione bis per monsignor D’Ercole

Caso Traversi, per la Corte d’Appello il fatto contestato al vescovo ausiliare «non sussiste». Innocente anche Cappelli

L’AQUILA. Assolto perché il fatto non sussiste. Con questa sentenza, pronunciata ieri pomeriggio dai giudici della Corte d’Appello, cala il sipario sulla vicenda giudiziaria nella quale era rimasto coinvolto il vescovo ausiliare Giovanni D’Ercole, accusato di aver rivelato – nell’ambito delle indagini sulla tentata truffa coi fondi del sociale – informazioni segrete al principale imputato Fabrizio Traversi. Per D’Ercole l’assoluzione era già arrivata a giugno dello scorso anno, ma la sentenza era stata impugnata dalla Procura. Cosa che aveva spinto i legali del prelato, Amedeo Ciuffetelli e Claudio Ferrazza, a presentare un appello incidentale volto a ottenere la riforma di quella sentenza da «assolto perché il fatto non costituisce reato» alla formula ancora più liberatoria «perché il fatto non sussiste». Tesi della difesa accolte ieri dai giudici, tanto più che lo stesso procuratore Romolo Como, evidentemente non condividendo la scelta dell’appello, ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado. Assolto anche il sindaco di San Demetrio Silvano Cappelli (difeso dall’avvocato Venta), che era stato, invece, condannato a 1 anno per falso.

Grande l’emozione di D’Ercole che ha atteso a casa il pronunciamento della Corte. «Finisce un lungo e doloroso calvario che spesso, specialmente nel corso delle indagini, ha gettato non poche ombre sull’onorabilità della mia persona», ha dichiarato D’Ercole in una nota. «Ho percepito i disagi e i dubbi nella gente, e ho sofferto perché avvertivo che qualcosa veniva a incrinarsi nella fiducia: condizione indispensabile per un pastore d’anime. Oggi la sentenza afferma che nulla ho fatto se non il mio dovere di sacerdote e di vescovo, con tutti i rischi che questo comporta. Proprio perché sento di aver compiuto la mia missione, ringrazio Iddio di aver patito quel che ho patito, non solo nel percorso giudiziario già di per sé faticoso, ma anche per le informazioni che spesso hanno dato di me un’immagine distorta presentandomi come un intrallazzatore e affarista. Tutto questo mi ha reso più umile e sicuramente più capace di capire chi soffre, e soffre ingiustamente. In me oggi c’è un senso di grande liberazione. Mi sento come rinato, e soltanto chi è passato per questa via crucis – che non auguro a nessuno – sa di che sto parlando. Vorrei ringraziare tutti quelli che mi sono stati vicini in questi anni, dal settembre 2011. Sono grato all’arcivescovo Giuseppe Petrocchi, il quale mi ha dato fiducia sin dal suo arrivo all’Aquila e condivide con me ora la conclusione della vicenda giudiziaria. Un grazie speciale ai miei avvocati Claudio Ferrazza e Amedeo Ciuffetelli, che hanno creduto a quel che ho loro detto sin dal primo incontro e mi hanno accompagnato lungo l’iter processuale, avendo in me fiducia e dandomi fiducia con la loro competenza e amicizia. La nostra condivisa soddisfazione è di vedere riconosciuto nella sentenza non tanto l’affermarsi d’un nostro punto di vista da difendere, quanto piuttosto il trionfo della verità tout court. Ringrazio il pm e i giudici che hanno compiuto il loro compito, a ogni livello, con alta professionalità e tratto umano. Si chiude una pagina della mia vita, che avverto di non dover archiviare totalmente, perché è carica di umana e spirituale esperienza. Ora guardo al futuro con più salda speranza. È innegabile, infine, che quest’esperienza, pur amara per alcuni versi, mi ha molto unito agli aquilani, che ho sentito al mio fianco, e che mi hanno incoraggiato nei momenti più difficili con il loro abbraccio, con la loro stima, amicizia e affetto». Grande gioia e soddisfazione sono state espresse dall’arcivescovo Giuseppe Petrocchi.©RIPRODUZIONE RISERVATA