L’Aquila capoluogo, una sfida

Qualche giorno fa, per iniziativa della Fondazione Mirror, si è tenuto un seminario sul tema della «economia della conoscenza», che aveva come sottotitolo «come usare la conoscenza per produrre valore e vantaggi competitivi»: per una impresa, per un gruppo di imprese, ma anche per un territorio, che è quello che in questo momento più ci interessa. L’idea di fondo è che la conoscenza per produrre valore si deve propagare, attraverso la specializzazione e il lavoro in rete.


Ogni territorio si sviluppa se riesce ad inserirsi in questa dinamica, se riesce a moltiplicare gli «usi» dei suoi processi produttivi (agricoltura, industria, turismo, welfare, amministrazione) intesi come processi di produzione e circolazione di conoscenza non tanto tacita ma soprattutto formalizzata (codificata in linguaggi e perciò in grado di circolare nel mondo globalizzato). Per fare questo, ogni territorio deve trovare le sue specializzazioni nei prodotti/servizi che offre/possiede. Ma i servizi molto specializzati reggono se hanno un bacino di clienti potenziali molto ampio.


Che cosa c’entra questo con la proposta di legge per L’Aquila capoluogo? Da questo modello di sviluppo deriva che una delle nuove sfide per la classe politica è proprio quella di creare bacini ampi, dell’ordine di almeno 1 o 2 milioni di abitanti, entro i quali portare lo spostamento delle persone. Praticamente l’Abruzzo intero. Un ordine di grandezza di fronte al quale la stessa Pescara, con i suoi circa 130.000 abitanti, impallidisce. Questo in concreto significa: infrastrutture che assicurino collegamenti veloci, una logistica organizzata (fatta di comunicazioni integrate) e una sistema di garanzie che alimentino la fiducia reciproca nel dividersi il lavoro.


Allora, penso che la proposta del sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso sul ruolo dell’Aquila come capoluogo può inserirsi in questa diversa visione dell’Abruzzo e del suo sviluppo, in cui non è la vicinanza fisica dei luoghi di produzione (in senso ampio) a creare vantaggi competitivi per l’intera regione ma è la capacità di fare sistema (vera e non retorica o peggio strumentale) valorizzando la specializzazione di ciascuna sua parte (che potremmo chiamare anche vocazione o competenza distintiva).


Credo anche che la proposta possa (e debba) rappresentare la base per un impegno politico e civile orientato ad un futuro di alto profilo per l’intera regione, che sappia trasformare i vecchi «campanili» di pochi (il rimbalzo già si rivela nei toni e nei contenuti di talune reazioni) in «risorse comuni» di tanti, per il vantaggio di tutti (gli abruzzesi).


Se accettiamo questa prospettiva, non limitando le ragioni della proposta di legge solo a considerazioni di contiguità territoriale (pure valide) tra ovest ed est, favoriamo quel necessario «salto culturale» nell’opinione diffusa che può nascere solo dalla consapevolezza che «cambiare rotta» e «fare squadra» è in fin dei conti questione di sopravvivenza (economica e sociale) per l’Abruzzo intero.

* Direttore generale della Cassa di Risparmio dell’Aquila