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L'Aquila, ecco i tesori perduti svelati dal terremoto

Nel corso dei lavori di ristrutturazione dei palazzi la Soprintendenza ha individuato “pezzi” di grande valore storico

L’AQUILA. Tra le gabbie di metallo, nelle strette vie del centro, dove la notte nelle serate invernali scende già alle 17, quando gli operai tornano a casa, cessano i rumori dei cantieri e neanche i lampioni fanno luce sulla città ferita dal terremoto. Ma dentro i palazzi storici, disabitati da quasi 6 anni, sono custoditi tesori inestimabili. Tesori che saltano fuori all'improvviso, nell'incredulità anche degli addetti ai lavori: basta abbattere un muro per trovare tra due pregiati archi cinquecenteschi una colonna di epoca romana, probabilmente proveniente da Amiternum, come è accaduto a palazzo Caprini- Rustici, oppure spostare qualche pietra per rinvenire tra le mura del Castello un portale del Cinquecento con lo stemma di una famiglia aquilana. Resti di un passato di cui nessuno, prima del sisma, poteva avere contezza. A rendersene conto sono stati, per primi, i tecnici della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, che ogni giorno entrano in quei palazzi inaccessibili ai più. «Il passato, la storia e la memoria dell’Aquila affiorano oggi prepotentemente dalle crepe, dai muri e dai crolli», spiega la soprintendente, Alessandra Vittorini. «È ciò che accade quando si lavora alla ricostruzione attraverso lo sguardo del restauro, del recupero, della tutela».

COLONNA ROMANA. All’angolo tra via Roma e via Cascina, al secondo piano di palazzo Caprini-Rustici, nel corso dell’esecuzione dei lavori di rafforzamento e riparazione dai danni sismici è venuta alla luce una colonna a forma di birillo, un singolo elemento di quelli che compongono di solito una balaustra in marmo. «Si tratta di un elemento di probabile riutilizzo, di provenienza romana, forse estratto da Amiternum, che doveva avere scopo apotropaico, contro la sfortuna», spiega l’architetto della Soprintendenza Gianfranco D’Alò. «La colonna è incorniciata in un doppio arco: due fornici di chiara fattura cinquecentesca, tra i quali è possibile vedere altrettanti tiranti a forma tortile realizzati con ferro forgiato a mano, dello stesso periodo». Nel Settecento, probabilmente dopo i lavori per la ristrutturazione del palazzo dovuti al terremoto del 1703, la colonna era stata incamiciata dentro una struttura di mattoni per dare maggiore resistenza all’edificio ed era dunque impossibile vederla.

TEATRO PRIVATO. Anche palazzo Branconio-Rustici ha da mostrare un importante ritrovamento: un arco ampio circa 3 metri e alto sei, che fa pensare al boccascena di un teatro privato o all’arco trionfale di una cappella, realizzato in conci con stucchi dorati di lavorazione a foglia che risale a prima del sisma del 1703.

VIA DELLE STREGHE. I lavori all’interno di palazzo Branconio-Rustici hanno sfatato anche l’antica leggenda di via delle Streghe che vorrebbe la strada senza porte né finestre. «Togliendo una fontana degli inizi del 1900 in cemento siamo arrivati al livello del muro perimetrale di via delle Streghe, dove si evidenzia una porta, che è possibile leggere ancora meglio dall’esterno, una volta tolto l’intonaco», continua D’Alò. «Quindi, la conformazione della strada senza aperture risale al più al 1700».

STEMMA AQUILANO. Durante i lavori all’interno del Forte Spagnolo, invece, sono emerse le pietre che dovevano appartenere a un portale quattrocentesco di uno dei palazzi distrutti per la costruzione del castello. Tra i resti anche lo stemma di una famiglia aquilana che rappresenta il rapace con uno scudo. «Abbiamo cominciato uno studio approfondito per capire a quale casata appartenesse» dice l’architetto Antonio Di Stefano, della Soprintendenza.

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