LA TESTIMONIANZA

L'Aquila, ecco la città fantasma le vie spettrali, le piazze vuote

La locandina degli «Amici del bar Margherita» in sala il 5 aprile 2009 è sempre lì, davanti al cinema Massimo di corso Federico II. Benvenuti nella città fantasma. L'Aquila, due anni dopo, è ancora tutta immobile, dolente e ingabbiata. Basiliche e scuole irriconoscibili nelle facciate tra foreste di tubi innocenti e ponteggi di legno; le colonne dei portici tenute su a tiranti; palazzi dai portali in pietra cadenti, i magnifici cortili rinascimentali e settecenteschi testimoni feriti di una antica nobiltà.

Due anni dopo, la cosa più difficile è fare i conti con la memoria della città che non c'è più, la sua bellezza sgretolata con le macerie del terremoto, i monumenti spariti, il centro storico desertificato, il silenzio spettrale delle vie proibite e delle piazze che non si affollano più. Dietro la nuova geografia urbana sono cambiate molte altre cose; il paesaggio ridisegnato dai nuovi quartieri periferici senza identità costruiti dalla Protezione civile; la vita sociale rinchiusa dentro le due gallerie coperte e i punti ristoro di un centro commerciale.

Aveva girato mezza Italia e mezza Europa, governatrice nei Paesi Bassi, ma quando arrivò all'Aquila sotto un nero cielo di stelle Margherita d'Asburgo sentì che aveva trovato la sua città, «quella che amo di più» diceva la figlia naturale dell'imperatore Carlo V. E Palazzo Margherita, la sua dimora, è oggi sede squarciata e abbandonata del Comune. Una gemma sfregiata nel cuore della città disfatta, che rischia di spegnersi gradualmente sommersa dall'oblio e dalle promesse dimenticate.

Per il 2010 erano stati destinati 50 milioni di euro a favore dei beni culturali, quanto all'aiuto - le donazioni - dei Paesi stranieri coinvolti nell'ondata emotiva del G8 che si è tenuto all'Aquila all'indomani del terremoto, la Protezione civile annota nel suo sito che la Russia con un contributo di 7,2 milioni di euro finanzia parte del restauro di Palazzo Ardinghelli e della chiesa di San Gregorio, così la Germania con 3,5 milioni contribuisce al recupero della chiesa di San Pietro apostolo di Onna; Francia e Kazakistan hanno messo a disposizione rispettivamente 3,2 milioni e 1,7 milioni; gli spagnoli si erano impegnati per il restauro del castello ma non se ne sa niente; gli Stati Uniti hanno aperto le loro università a un po' di studenti abruzzesi e il Canada ha destinato 3,5 milioni di euro alla realizzazione di un centro polifunzionale per studenti.

Cifre che dicono da sole quanto si è lontani dalle reali necessità se si pensa che una stima dei danni eseguita dall'ingegner Luciano Marchetti, vice commissario della Protezione civile con delega ai Beni culturali, ammontava a 3,5 miliardi di euro per mettere in salvo monumenti, chiese e palazzi storici. Somma che supera i 10 miliardi se si allarga il raggio degli interventi al resto del patrimonio edilizio del centro.

A documentare ciò che L'Aquila è stata, c'è una pagina che a leggerla prende ogni volta un sentimento di nostalgia, l'ha scolpita su Facebook Antonio Gasbarrini, critico d'arte assai noto: «Non è inopportuno rimembrare che la nobilissima città dell'Aquila fino alle 3.31 dello stramaledettissimo sisma, era lei l'"opera d'arte", - scrive Gasbarrini - o meglio un museo a cielo aperto costellato nelle immediate vicinanze da reperti archeologici di altissimo valore storico (Amiternum e Necropoli di Fossa) ed intra moenia da superbi monumenti religiosi (le chiese di Santa Maria di Collemaggio, San Bernardino, San Silvestro, San Pietro, Santa Maria del Soccorso, Santa Maria Paganica, San Domenico, su tutte, ivi compresa la chiesa del Suffragio o delle Anime Sante che dir si voglia, tanto osannata dai media internazionali) e civili (Fontana delle 99 Cannelle, Fortezza Spagnola, altre prodigiose piazze e fontane a non finire); palazzi di altissimo pregio artistico vincolati dalla Soprintendenza (basta qui citare gli affreschi cinquecenteschi di ascendenza raffaellesca come era dato di vedere a Palazzo Farinosi-Branconio e al Casino Branconio o le altre preziose decorazioni di Palazzo Fibbioni), intriganti cortili rinascimentali, stupende facciate medioevali (Le Cancelle) e barocche (Palazzo Centi-Colella e Palazzo Ardinghelli).

Alla vorticosa girandola si aggiungano vie, coste, vicoli presidiati dalla possenza di architetture i cui portali, bifore e stemmi gentilizi, erano la testimonianza più tangibile dei trascorsi aulici di questa invidiabile ed invidiata città (da Costa Masciarelli a via Fortebraccio, da via Roma e via Sassa a via di San Martino, via San Marciano e decine e decine di altre ancora).

All'interno dei preziosi scrigni sino a qui elencati e degli altri sottaciuti, era tutto un fiorire di opere d'arte (documentate nel "bombardato", inagibile Museo Nazionale d'Abruzzo, dall'epoca romana ai giorni nostri), quali sculture, pitture, oreficeria, paramenti sacri. Per non parlare poi, sempre in ambito culturale, dei codici miniati o, tra i primi incunaboli italiani, de Le Vite Parallele di Plutarco stampato nel 1482 all'Aquila dall'allievo del Gutenberg Adamo de Rotweill».

L'Aquila città di terremoti. Di quello più devastante del 2 febbraio 1703, il marchese Matteo Garofalo, inviato del viceré spagnolo di Napoli, scrisse: «L'Aquila fu, non è». Una sintesi drammaticamente perfetta dell'enormità della catastrofe. Eppure da quell'apocalisse L'Aquila risorge e viene chiamata a diventare una nuova città. L'aspetto medioevale si avvicenda con una modifica del tessuto urbano - arricchito dalle mutate realtà produttive (botteghe artigiane e commerciali) e da nuovi stili architettonici - in quelle forme di tradizione settecentesca giunte fino al 6 aprile 2009. Dopo due anni è quel fervore rifondatore che ancora non si avverte, annichilito dalla babele di parole che ha preso il posto delle pubbliche virtù, e ci dice che il difficile deve ancora cominciare.

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