dopo la cassazione

L'Aquila, in carcere Livio Bearzi, ex preside del Convitto

Nel crollo morirono tre studenti, deve scontare una condanna definitiva di quattro anni. Il suo legale: «Anche lui è una vittima del terremoto»

L’AQUILA. A sei anni e mezzo dal terremoto arriva il primo arresto legato ai crolli con vittime. Il friulano Livio Bearzi, 58 anni, che la notte del 6 aprile 2009 era il preside del Convitto nazionale “Domenico Cotugno”, da ieri è in una cella del carcere di via Spalato a Udine.

La polizia lo ha raggiunto nella sua casa di Cividale per notificargli l’ordine di carcerazione emesso dalla Procura generale della Corte d’Appello dell’Aquila. È stata così data esecuzione – dagli agenti della squadra mobile e del commissariato di Cividale – alla sentenza definitiva di condanna a quattro anni di reclusione (più la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni) emessa dalla Cassazione il 23 ottobre scorso.

Il pronunciamento è stato l’ultimo atto di un procedimento giudiziario che vedeva Bearzi imputato per omicidio colposo plurimo e lesioni personali.

Nel crollo del Convitto nazionale persero la vita Luigi Cellini, 15 anni di Trasacco, e due studenti stranieri, Ondreiy Nouzovsky, Marta Zelena, rispettivamente di 14 e 16 anni. Altri due ragazzini rimasero feriti.

Il procedimento vedeva imputato anche Vincenzo Mazzotta, dirigente della Provincia dell’Aquila, condannato a 30 mesi dai giudici della Suprema corte.

Al preside Bearzi sono state contestate la mancata ristrutturazione del vecchio edificio dell’Aquila (costruito nell’Ottocento) e l’assenza di un piano per la sicurezza.

In sintesi, ricordando le motivazioni dei giudici d’Appello che sostanzialmente ricalcano quanto avevano già evidenziato i colleghi di primo grado, al dirigente friulano è stata attribuita una «totale inerzia, a fronte di una situazione di evidente rischio per le condizioni in cui versava la palazzina, in presenza dello stillicidio di scosse». La sua colpa, sempre secondo i giudici, è stata quella di «omettere di valutare l’enorme pericolo incombente sul vetusto palazzo e il sol fatto di avere consentito la prosecuzione dell’attività».

Già durante il processo di primo grado, il giudice Giuseppe Grieco, in trenta pagine di motivazioni depositate a inizio 2013, aveva più volte evocato la «negligenza».

«Bearzi» secondo Grieco, «operò in totale spregio del piano di sicurezza vigente e delle più elementari norme cautelari. La mancata evacuazione dell’edificio, protrattasi per un intollerabile lasso temporale, rappresenta il punto nodale della sua responsabilità».

«Rispettiamo la decisione della magistratura, a tempo debito presenteremo le istanze per l’eventuale applicazione di misure alternativa al carcere, visto che per l’entità della pena, superiore a tre anni, il mio assistito non è rientrato nei benefìci di legge», commenta l’avvocato Paolo Enrico Guidobaldi, difensore di Bearzi. «Ho un grande magone. Perché se è vero che a tre famiglie è stata inflitta la sofferenza più profonda che ci può essere, quella di perdere un figlio, una sofferenza per la quale ci vuole rispetto a partecipazione, è anche vero che pure la situazione del dottor Bearzi è dolorosa. Anche lui in qualche modo è una vittima del terremoto. Anzi di tre terremoti. Dopo essere sopravvissuto ai due che hanno colpito il Friuli nel ‘76, è stato segnato definitivamente da quello dell’Aquila. È una persona eccezionale e finora ha saputo sopportare tutta questa vicenda con estrema dignità. La legge 107 di quest’anno, quella sulla cosiddetta Buona scuola, individua nel dirigente scolastico il responsabile della sicurezza. E di certo la sentenza sul caso Bearzi ha anticipato tale orientamento. Esprimo vicinanza ai familiari di tutti coloro che hanno trovato la morte in un evento così tragico».

Dal Friuli tanti messaggi di solidarietà a Bearzi, che fino a pochi giorni fa era il preside dell’istituto comprensivo più grande di Udine e faceva il reggente ad Ajello. «Il preside Livio Bearzi ha la nostra stima e la nostra solidarietà umana e professionale» la parole di Nerina D’Angelo, vicepreside. «È una brava persona», scrive un’insegnante su Facebook, «e un dipendente dello Stato coscienzioso che paga per tutti. Con le nefandezze che si sono viste e sentite all’Aquila, lui, preside lì da pochi mesi, doveva prevedere il terremoto e ristrutturare uno stabile? Da brividi. Tenga duro, preside!».

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