La Cisl: «Svuotata l’ex Otefal»

Il sindacato rilancia l’allarme sulla chiusura dell’azienda di Bazzano

L’AQUILA. Anche la Cisl lancia l’allarme sull’ex Otefal, rilevata a gennaio del 2003 dai siriani della Madar, che hanno intenzione di chiudere definitivamente lo stabilimento a giugno, quando scadrà il periodo di cassa integrazione straordinaria.

Il 28 marzo, in occasione della prima asta per la vendita del sito andata deserta, la Uil ha espresso seria preoccupazione per la sorte dei 180 lavoratori, annunciando che i siriani stavano smantellando la fabbrica di Bazzano, specializzata nella produzione di laminati. «Manca ancora l’annuncio ufficiale», afferma ora Gino Mattuccilli della Fim-Cisl, «ma a confermare le intenzioni della Madar ci sono le manovre in atto proprio in questi giorni: la fabbrica è stata, infatti, completamente svuotata dei materiali per la produzione di alluminio, fonderia, laminazione e verniciatura. Visto che la prima gara relativa alla procedura fallimentare, indetta dal commissario Omero Martella, è andata deserta, l’auspicio è che, nelle prossime gare, si facciano avanti nuovi gruppi industriali, solidi e affidabili, in grado di rilevare lo stabilimento ex Otefal, per evitare la perdita di altri 180 posti di lavoro».

Ma il tempo stringe. «A giugno prossimo», sottolinea Mattuccilli, «scadranno i contratti dei dipendenti. Le maestranze sono in cassa integrazione a zero ore da gennaio scorso a causa della mancanza di commesse e di un portafoglio ordini in grado di mantenere in piedi la fabbrica aquilana. I siriani sono arrivati all’Aquila più di un anno fa e hanno rilevato, prendendolo in affitto, il capannone ex Otefal, che era in concordato preventivo dopo l’uscita di scena della vecchia proprietà, la Pozzoli di Bergamo. L’affitto del ramo d’azienda», incalza Mattuccilli, «secondo le intenzioni manifestate inizialmente dalla Madar, avrebbe dovuto rappresentare il primo passo verso l’acquisto definitivo dell’immobile. Un progetto che, alla luce di quanto sta accadendo negli ultimi giorni», conclude Mattuccilli, «non si è rivelato solido. Il rischio concreto è che L’Aquila perda definitivamente un’altra realtà industriale e 180 posti di lavoro in un momento di profonda crisi occupazionale». (r.s.)

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