La crisi dell’azienda degli Aracu

La sede inaugurata nel 2001, poi dal 2011 l’inizio dei problemi economici

SULMONA. Il call center sulmonese è la sede storica della 3G, essendo stato aperto per primo nel 2001 dall’allora parlamentare del Popolo della libertà Sabatino Aracu. Lo scandalo Sanitopoli del 2008, che vede coinvolto il parlamentare, porta poi a un riassetto societario, con la famiglia Aracu che resta comunque proprietaria della società di telecomunicazioni. Ora ai vertici c’è il colonnello dell’Esercito Antonio Aracu, fratello di Sabatino, che riveste il ruolo di direttore operativo.La storia della 3G spa inizia con la specializzazione nel settore di servizi di outsourcing per imprese, pubbliche amministrazioni e istituzioni, dedicati alla comunicazione con i clienti. Oltre alla direzione generale che ha sede a Roma e a quella storica in città, 3G opera su altre tre sedi operative che si trovano a Milano, Chieti e Campobasso, con circa 1.250 collaboratori, che nel 2011 raggiungono un fatturato di 27 milioni.

Negli ultimi anni cominciano i problemi, con la crisi che investe anche il gruppo, leader nel panorama italiano. Alla base della crisi resta un buco di bilancio di un milione e 300mila euro, oltre a una sofferenza generale dell’intero comparto e del gruppo in particolare, reduce da quattro anni di ammortizzatori sociali, tra Cigs e contratti di solidarietà. Ma a pesare sui conti dell’azienda sarebbe soprattutto il costo del lavoro, ormai superiore ai ricavi. Dall’anno scorso l’azienda ha aperto anche le pratiche per i licenziamenti volontari, con un incentivo di sei mensilità nette, 24 mesi di Naspi (indennità di disoccupazione) e il tfr, pari a circa 28mila euro per un contratto di lavoro part-time. Incentivi che hanno convinto per i primi mesi solo una quindicina di operatori del call center sulmonese, troppo pochi per l’azienda. Da qui l’invio delle prime lettere di licenziamento che i sindacati hanno provato in tutti i modi a bloccare. I lavoratori con contratti part-time (6 ore) hanno perso paghe di circa 900 euro al mese e quelli con rapporto di lavoro full-time (8 ore) di circa 1300. Intanto, tra gli operatori rimasti, serpeggia la paura per il loro futuro e si fa attenzione anche alla pausa caffè o alla sigaretta di troppo. Visto il percorso di stabilizzazione avviato dal call center sulmonese negli anni scorsi, si sperava in un futuro più roseo per i lavoratori, nonostante i contratti di solidarietà scaduti il 31 luglio del 2015 e avviati per scongiurare i 79 esuberi dichiarati in passato. Solo a settembre del 2011 l’azienda non aveva rinnovato i contratti a tempo determinato a 90 operatori. (f.p.)

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