La memoria collettiva e il luogo mancante 

Il giornalista e scrittore Andreucci: «Ricordi indelebili dentro di noi, non c’è un Ground zero per tutti»

Ormai il popolo aquilano divide la sua storia in prima e dopo il terremoto del 6 aprile 2009. Un evento che ha cambiato nell’intimo chiunque sia stato in balìa di quella scossa che non finiva mai.
Nella divisione tra il “prima” e il “dopo”, il periodo del “riavviamento” del calendario è contrassegnato dalle osservazioni del “Qualunque uomo”, inteso nella sua accezione migliore. Il Qualunque uomo parlando con i suoi simili impreziosisce questo periodo con domande retoriche mai banali: chi ci ha rimesso, chi ci ha guadagnato o addirittura speculato? Chi ha sepolto i propri cari? Chi ha avuto il corpo o la psiche devastati? Chi è scappato, chi è rimasto? Le domande potrebbero proseguire per pagine e pagine. E, sottovoce, i Qualunque uomo si danno risposte. Sottovoce, in una specie di “tra di loro” per cui alla fine, tutti sanno, come per la saga/sagra di Sant’Agnese.
Non aveva dubbi, invece, un noto psicoterapeuta del capoluogo. Qualche giorno dopo il terremoto, nel piazzale della Guardia di Finanza, lo studioso della psiche umana, conversando con me e un comune amico, azzardò: “Paradossalmente, questo sisma farà bene agli aquilani, perché darà loro quella scossa di cui hanno bisogno per svegliarsi dal torpore e migliorarsi”. Dopo un decennio, quanti si sentono di dargli ragione, e quanti ritengono che, invece, ci sia stato un peggioramento, un incattivirsi e un prendere a pretesto il terremoto per giustificare quei deleteri lati oscuri emersi assieme al radon? Spunti di riflessione che il Qualunque uomo fa mentre ripercorre quel centro ancora disteso a terra e quelle periferie costellate di new town (chi può dire che siano state inutili? Concepite malamente, ma non inutili).
L’Aquila è ormai tutto un luogo della memoria: ogni vicolo, ogni piazza, ogni palazzo ancora rudere o rimesso in piedi, ogni faccia di chi ha una famiglia menomata. Un esteso luogo della memoria nel quale, passando, ricordiamo il “prima” vissuto e un “dopo” che tarda ad arrivare. E si sente il bisogno di andare nella cappella delle Anime Sante a sfogliare lentamente, con un groppo in gola e gli occhi inumiditi dalle lacrime, l’album dei ricordi con le immagini di quei 309 esseri viventi – parenti, amici, conoscenti, sconosciuti – che non hanno avuto la possibilità di porsi queste domande sospese. Anche se quei ricordi sono indelebili dentro di noi, manca, il luogo pubblico della memoria collettiva, un “Ground zero” che ricordi tutti e a tutti.
* giornalista e scrittore
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