La speranza Obama nella città ferita

Il presidente Usa in maniche di camicia tra le rovine: vi aiuteremo.

L’AQUILA. La città dalle mille ferite sembra quasi aggrapparsi al primo presidente di colore della storia degli Stati Uniti d’America. Barack Obama, l’uomo capace di riaccendere le speranze del mondo, oggi ha lo sguardo triste. «Mister President» è in maniche di camicia, ma anche in mezzo alle macerie del centro storico non difetta di eleganza. Per il capoluogo d’Abruzzo, che per tre giorni sarà la capitale del mondo, la sua presenza rappresenta un evento forse irripetibile. La sua giornata in Abruzzo inizia alle 12.15. La carovana di auto imbocca la strada che dall’aeroporto conduce a Coppito e per alcuni minuti lungo il tragitto non si muove una foglia. L’ARRIVO. Accolto dal sorriso di Silvio Berlusconi come un amico di vecchia data Obama ricambia con entusiasmo e tra pacche sulle spalle e battute conquista subito il primato della simpatia. Evita per quanto è possibile le auto elettriche e, dentro la caserma della Guardia di finanza, preferisce muoversi a piedi.

Sotto l’abito scuro spicca una camicia bianca impreziosita dalla cravatta celeste. Si muove con andatura rapida e sicura, sia che cammini tra le sale lucide del G8, sia che si muova in mezzo ai ruderi del centro storico. All’ingresso nella sala riservata agli otto grandi saluta fotografi e cineoperatori, staccandosi nettamente dal rigoroso formalismo degli altri capi di Stato e primi ministri. Il meglio di sè, però, Obama lo dà fuori dall’ufficialità. In attesa del suo arrivo in centro, i vigili del fuoco, posizionati ogni 200 metri con un dispositivo denominato Pid, da ore tengono sotto controllo l’eventuale presenza di radioattività, di cariche batteriologiche e di elementi chimici. Uno dei capi della sicurezza è una donna che è sul posto per controllare ogni dettaglio.

IL CANE. Nella città fantasma all’improvviso si materializza un cane pastore abruzzese, spuntato da chissaddove. Indossa un collare verde, gironzola indisturbato e poi sparisce in un vicolo. Anche la sicurezza a stelle e strisce stavolta viene colta di sorpresa.

OBAMA IN CENTRO. Alle 18.29 in piazza Duomo arriva Obama dopo aver percorso un piccolo tratto di strada a piedi, dall’altezza del bar Nurzia, accompagnato dal suo entourage, da Berlusconi e da Guido Bertolaso. Davanti alla strada che conduce alla prefettura è atteso dal presidente della Regione, Gianni Chiodi, dalla presidente della Provincia, Stefania Pezzopane e dal sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente. Obama arriva in maniche di camicia leggermente arrotolate. Altero e sorridente saluta con cordialità. «Welcome presidente, ammiro molto quello che sta facendo per la pace nel mondo e per i diritti umani, faccia qualcosa per noi», la supplica della Pezzopane. «Sono molto commosso e vi sono molto vicino», la sua risposta, «ho seguito fin dall’inizio la vostra tragedia e il mio Paese vi aiuterà nella ricostruzione che è molto importante per gli studenti, il futuro è nei giovani». Poi il presidente Usa si muove verso la prefettura, volge spesso lo sguardo in alto, colpito dalla bellezza delle chiese e dei palazzi, pur rovinati, ma turbato dalla distruzione. Davanti alla prefettura parla con Berlusconi, osserva la chiesa di San Marco, sostenuta dalle cinghie. Per qualche minuto i vigili del fuoco interrompono i lavori. Guidato da Berlusconi il presidente Usa torna in piazza Duomo.

LA FOTO CURIOSA. Nuovo incontro con le istituzioni e arriva il momento della foto. Obama è vicino alla Pezzopane, si rende conto della differenza di altezza e non fa fatica ad abbassarsi sulle ginocchia. Sorrisi, applausi e poi le strette di mano ai vigili del fuoco. «Ragazzi avete fatto un grande lavoro, i nostri pompieri vi apprezzano e vi ammirano». In piazza Duomo non passano inosservati i tiratori scelti appostati sui palazzi meno danneggiati. Il presidente americano si accomiata con un «how do you say God bless you», che Dio vi benedica e si allontana sussurrando un «grazie». A nessun politico, a nessun giornalista è stato consentito accompagnare la visitga nel cuore della città. Uniche eccezioni l’immancabile Paolo Bonaiuti e Bruno Vespa.

LO SLOGAN. Un grande striscione con la scritta «Yes we camp» diventato lo slogan dei comitati cittadini, parafrasando proprio lo slogan di Obama «Yes we can» è stato esposto al passaggio del presidente Usa. I manifestanti, su uno spartitraffico a ridosso della tendopoli di piazza D’Armi, la principale della città, sorreggono lo striscione e con un megafono spiegano le ragioni della loro protesta. Si tratta di un gruppo colorito (numerosi indossano una maglietta gialla con la scritta «Forti e gentili sì, ma non fessi») accompagnato da un trombettiere. Anche i comitati, evidentemente, sanno che sul presidente americano possono sperare. Barack Obama sembra aver conquistato proprio tutti.

VISITA NEI CANTIERI. Ci ha provato già ieri Silvio Berlusconi a portare Obama in uno dei cantieri delle nuove case. Ci riproverà sicuramente oggi, magari approfittando di un’ora di buco che il presidente degli Stati Uniti si ritrova a disposizione dopo la partenza del leader cinese Hu Jintao. Potrebbe andare a Bazzano o a Preturo.

BERLUSCONI «MAESTRO». Al termine della cena con i grandi della terra, a conclusione della prima giornata del G8, Silvio Berlusconi si è concesso un piccolo fuori programma: mentre faceva una passeggiata, il presidente del Consiglio è entrato nell’auditorium dove stava suonando l’orchestra sinfonica abruzzese e si è improvvisato direttore d’orchestra mimando con le mani il movimento di chi dirige gli orchestrali.