Le luminarie nel vuoto del centro storico

Sotto i portici con le colonne fasciate sono tornate le luci. Gli «auguri» sulla cattedrale

L’AQUILA. Le luminarie sono appese alle impalcalture. Su corso Federico II a volte si confondono con le luci dei segnalatori rossi dei cantieri. In piazza Duomo e sotto i Portici l’illuminazione pubblica è stata ripristinata. Ma è un chiarore che si perde nel vuoto di una città che cerca di riprendersi gli spazi. La vita tenta di risorgere qua e là come l’erba in una pietraia. Avanti nonostante tutto. Alle cinque del pomeriggio anche lo struscio sembra rinvigorito.

Ieri pomeriggio ho attraversato una parte del centro storico per arrivare a Piazza Palazzo dove era prevista la registrazione della puntata di Porta a Porta sul Natale all’Aquila nei giorni del terremoto. Pensavo di trovare lo stesso buio che è calato il sei aprile quando gli aquilani sono stati cacciati dalla loro città dalla scossa delle 3.32. Invece no. Le luci sono tornate. E persino lo struscio mi è sembrato “quasi” quello di una volta. In realtà la passeggiata a cui nessuno nell’altra esistenza aveva la forza di rinunciare (magari solo per farsi vedere o darsi un tono) oggi è ancora ingabbiata fra le recinzioni metalliche.

Eppure la vita si sforza di riprendere. E ci riesce. All’inizio di corso Federico, proprio davanti al Grand Hotel c’è una scritta luminosa: auguri. Mi viene da pensare: per chi sono gli auguri, visto che chi abitava nel centro storico ora è disperso fra gli alloggi Map, Mar, piano Case e alberghi sulla costa? Poi mi dico: male che va saranno per la città: una città da restaurare, rifare, mettere in sicurezza. Il tunnel, fatto di tubi tutti neri, costruito a metà di corso Federico appare un po’ meno lucubre. I filamenti luminosi che imitano una pioggia di verdi stelle sono come quelli dell’anno scorso. E’ la città che non è quella dell’anno scorso.

Ma chi passeggia fra le rovine non ha l’aria del curioso delle cose macabre. L’atteggiamento è quello di chi vuole “fingere” o credere che nulla o quasi è successo. Ci sono due fidanzati che si sbaciucchiano sognando, chissà, un futuro migliore; una famigliola con tante buste in mano come se fosse di ritorno dallo shopping natalizio; due anziani impegnati in discorsi venati di nostalgia ma senza troppe recriminazioni.

Sulla sinistra ci sono le vetrate di un istituto bancario: la Carichieti. Sono illuminate. Dentro ci sono persone che lavorano. Salendo verso la piazza la luce sembra aumentare. Ecco che compare la cattedrale. Un gioco di luci fa roteare stelle virtuali sulla facciata. In alto, a fianco del muto campanile e dell’orologio senza più tempo, un’altra scritta, sempre la stessa: auguri. E poi la stella cometa. Nel Duomo quest’anno il Bambino Gesù non nascerà. Ma quella stella è lì a segnare luogo e simboli: prima o poi i pastori e i Re Magi (anche quelli aquilani) rientreranno in quella sacra casa che il terremoto ha devastato e reso inabitabile. Anche la sede della Banca nazionale del lavoro è aperta. Non resisto alla tentazione di fare un prelievo con il Bancomat. Non perché ne ho un’immediata necessità ma solo per il gusto di fare un gesto che fino al 5 aprile era “normale” e che per quasi nove mesi è stato impossibile. Almeno lì.

A fianco c’è il bar dei Fratelli Nurzia. Con me ci sono i genitori di Giulia Carnevale (la ragazza deceduta sotto le macerie e che ha disegnato il nuovo asilo di Onna) anche loro come me «convocati» da Bruno Vespa per la puntata natalizia di Porta a Porta. Lo stomaco è chiuso dal magone per i giorni di dolore e sofferenza che si annunciano all’orizzonte. Ma prendere un caffè, in quel posto, all’antivigilia di Natale, è come ritrovare un amico che pensavi di non rivedere mai più. Ti dà la sensazione che tutto può riprendere a scorrere sul filo della memoria e del ricordo: le uniche cose che sono in grado di darti ogni tanto quella spinta che invece di farti cadere nel burrone ti butta fra le braccia della vita e della speranza.
A due passi dal bar c’è un negozio di ottica. Vedo entrare e uscire dei clienti. Quando si riavviano verso la villa comunale non hanno l’aspetto dei reduci ma quello tranquillo di chi se ne torna verso casa come se la loro abitazione fosse ancora in via Sant’Agostino o via XX Settembre. Piccole strutture di legno punteggiano «capo Piazza». Sono quei commercianti che vogliono esserci. E vogliono essere lì, in piazza Duomo, non davanti a un centro commerciale o in altro posto qualsiasi.

I Portici sono illuminati. Come una volta. Ma sono vuoti. Lì dentro per ora non si passa. Lo struscio va avanti all’esterno, lungo il Corso dove si sentono i rumori di operai ancora al lavoro, dove le uniche macchine che passano sono quelle dei vigili del fuoco e delle forze dell’ordine. Ai Quattro Cantoni c’è il cane Pluto, almeno così lo chiama il nostro fotografo Raniero Pizzi che lo ha immortalato mentre riposa placido proprio in mezzo all’incrocio. Il tratto che porta alla Fontana luminosa è ancora chiuso. Eppure anche lì la luce è tornata. Per entrare su Corso Umberto bisogna mostrare la liberatoria. A Piazza Palazzo sento il vociare di bambini vestiti come tanti Babbo Natale. Sono una parte della scenografia televisiva ma fanno tanta tenerezza.

E lì il ricordo torna prepotente e lancinante. A casa, questa sera non ho ritrovato i miei ragazzi. Ho potuto solo rivederli nelle foto che sembrano arrivare da un passato che è tanto lontano e troppo vicino allo stesso tempo. La torre di palazzo Margherita, sullo sfondo della piazza del Palazzo, pare voglia bucare il cielo che si sta rabbuiando. Cerca una luce in fondo al tunnel.