Le mani della città per rimetterla in piedi 

Le opere della fotografa artista Pajewski in un libro-progetto sul tema degli operai migranti impegnati nella ricostruzione

L’AQUILA. I ricordi di infanzia di Dorin, gli animali della fattoria e i compi di coltivazione in Moldavia. I canti di Fazwi, dagli armonici che possono suonare dissonanti a chi non è pratico della musica tradizionale egiziana. Le scorribande di Felice, dalla sua Sciacca, attraverso le strade della Sicilia, e il sorriso di Lamine che spunta dal caschetto arancione. Occhi, espressioni, smorfie che accompagnano il lavoro quotidiano di ricostruzione post-sisma, in quello che è tuttora il cantiere edile più grande d’Europa, popolato da migliaia di uomini. Un lavoro che la fotografa Claudia Pajewski ha voluto raccontare attraverso una serie di scatti che hanno fatto parte di una mostra dal titolo “Le mani della città”. In queste settimane, con lo stesso titolo, la Drago edizioni ha pubblicato un libro che raccoglie molte delle fotografie dell’artista, da sempre interessata al corpo e al suo linguaggio. Novanta pagine di immagini e testi per uno storytelling dinamico, disincantato e originale. Le mani della città sono le mani di questa nuova cittadinanza – locale, straniera e migrante – che in questi scatti vengono riproposte senza rassegnazione o vittimismo. Il libro, che è il risultato di un progetto indipendente realizzato dalla fotografa tra il 2014 e il 2017, verrà presentato alle 18,30 di mercoledì nella sede del Rettorato Gssi in via Michele Iacobucci, 2 (nella struttura di fronte al quartier generale del Gran Sasso Science institute). Interverrà, oltre all’autrice, la storica dell’arte Michela Becchis, che ne ha curato l’edizione. Atteso anche l’intervento dell’ex ministro Fabrizio Barca, in un appuntamento a cui parteciperanno il rettore del Gssi, Eugenio Coccia, l’artista Piotr Hanzelewicz, l’editore Paulo von Vacano, il segretario Fillea-Cgil L’Aquila, Emanuele Verrocchi, oltre a Maria Giovanna Musso, docente alla facoltà di Sociologia alla Sapienza e autrice di un saggio inserito nel libro. «Questi scatti raccontano anche una storia altra che si lega indissolubilmente alla città vuota che a poco a poco si riempie», scrive la Becchis nell’introduzione. «Una città che ha perso il suo tessuto urbano, la rete di relazioni e rapporti che trasformano un insieme di edifici – belli, bellissimi, brutti, stonati non importa – in una città. E ancora oggi molta dell’urbana umanità dell’Aquila è rappresentata da questi uomini che ricostruiscono gli edifici e che costituiscono l’umano contrappeso a molti aquilani che stentano, dopo che è passato forse troppo tempo, a tornare in città. Uomini che arrivano all’alba e vanno via al tramonto, che tornano in gran parte in dormitori intorno al loro lavoro e che, nella maggioranza, sono andati via da altre città, da altri paesi, da altre terre per ricostruire un’antica nuova città».
«Ecco», si legge ancora, «le mani della città è anche questo: l’occhio attento e coinvolto che vuole ascoltare la vita, le riflessioni, le malinconie e le speranze di esseri umani impolverati che, nell’accettare di guardare dentro l’obiettivo della Pajewski e di raccontarle della loro vita, riannodano e intrecciano con pudore i fili strappati di un tessuto che è il loro, ma che è anche dell’Aquila. Lasceranno non solo mura nuove e abitabili, strade da passeggiare, palazzi e chiese e monumenti, avranno anche ritessuto una città, quella raccontata in queste foto».
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